i deportati in Brianzaversione italiana |
Biografie tratte dal volume di Pietro Arienti : "Dalla Brianza ai Lager del Terzo Reich" - editore Bellavite.
Angelo Aglieri - n.25.12.1914 Monza. Arrestato a Milano il 25.05.1944. Giornalista del Corriere della Sera. Deportato da Bolzano il 05.09.1944; m.24.12.1944 Flossenbürg.
Enrico Agostoni - Nato a Cinisello Balsamo il 5 ottobre 1913. Residente in via Marco Polo 6 a Monza, meccanico di professione. Arrestato per motivi politici il 21 ottobre 1943 e trasferito a S.Vittore il giorno 25. Internato nel campo di raccolta e transito di Fossoli il 27 aprile. Il 21 giugno fu inserito nel trasporto per Mauthausen dove giunse in data 24 giugno 1944. Il 7 luglio fu assegnato come operaio alla Eisenwerke Oberdonau di Linz, in Austria, una delle più grandi acciaierie e ferriere del Reich e dell'intera Europa. Quest'impianto faceva parte del Reichswerke Hermann Göring AG, il complesso industriale di stato che riuniva tutta la produzione di acciaio e ferro sotto la supervisione del plenipotenziario per l'economia Hermann Göring. L'acciaio che usciva da Linz affluiva in altri sottocampi di Mauthausen, in particolare S.Valentin, dove con il lavoro schiavo dei deportati si costruivano i panzer per la Wehrmacht. Sopravvissuto alla fame e agli stenti, Agostoni riacquistò la libertà il 5 maggio 1945 e rimase in Germania ancora fino al 25 giugno prima del rimpatrio.
Antonio Arosio - Nato il 29 settembre 1910 a Monza dove risiedeva in via Scotto 2 con la moglie Delfina Cazzaniga e un figlio di sette anni; nelle registrazioni carcerarie è dichiarata la professione di meccanico. Venne arrestato a Milano il 31 maggio 1944 con l'accusa di "truffa aggravata e tentata estorsione" e l'1 giugno entrò a S.Vittore. L'1 luglio era già in Germania a lavorare alla Bayer BKK IG Farben di Leverkusen dove rimase fino al 12 ottobre 1944. Il 20 ottobre giunse a Flossenbürg dove, con la matricola 29291, risulta classificato Zivilarbeiter, ossia lavoratore civile. E' quindi possibile che Arosio sia stato inviato in Germania come lavoratore coatto, nell'ambito dello svuotamento delle carceri italiane al fine di fornire manodopera all'industria tedesca e che poi per necessità contingenti o anche per motivi disciplinari, sia stato internato a Flossenbürg dove la sua qualifica poi fu trasformata in politisch. Il 22 novembre venne consegnato al campo di Leitmeritz dove morì il 18 gennaio 1945.
Enrico Arosio - Nato il 13 novembre 1904 a Monza. Residente nel capoluogo brianzolo in via Casati 15. Celibe, aveva un'attività in proprio nel settore commerciale. Era cresciuto in una famiglia dagli ideali socialisti e la sua formazione lo spinse, dopo l'occupazione nazifascista, a collaborare con i primi gruppi della stessa estrazione politica decisi ad opporsi al nuovo regime d'occupazione e a quello collaborazionista della Rsi. Il suo ruolo fu quello di agire da base, utilizzando gli spazi del proprio magazzino, per la ricezione e l'occultamento di armi e munizioni, oltre ad offrire ospitalità ai primi antifascisti ricercati e ai renitenti alla leva, spesso aiutati a raggiungere le bande in montagna. L'arresto di Enrico Arosio rientra nell'operazione messa in atto il 2 marzo in seguito alle rivelazione di una spia infiltratasi nel gruppo socialista monzese, probabilmente un'impiegata del Comando tedesco di Monza che aveva instaurato una relazione con un membro del gruppo. L'impresario fu catturato in casa del fratello, così la nipote Emma Rosa ricorda quel momento:
Quando loro (i fascisti) si presentarono al cancello di casa la prima ad accorgersene fu mia madre che invitò lo zio a scappare ma lui non volle, li aspettò seduto in poltrona dopo essersi prontamente tolto dalle tasche bigliettini e distintivi. Da quando lo portarono via la mia famiglia non l'ha più rivisto. Mia madre e mia zia di fecero 40 giorni di carcere a Monza quando sperando almeno di vederlo portarono con loro i gemelli di 8 mesi pensando d'impietosire le guardie, invece noi gemelli fummo riportati a casa e loro trattenute.
Fu portato per gli interrogatori alla Villa Reale e poi al carcere di Monza dove rimase fino al 20 marzo, giorno in cui figura registrato a S.Vittore con la matricola 1732 nella cella numero 50 del primo raggio. Il 9 giugno fu portato a Fossoli con il numeroso gruppo di detenuti provenienti dal carcere milanese; qui venne immatricolato con il numero 1527. Dal campo di raccolta Arosio scrisse una lettera, datata 2 luglio 1944, ai familiari dei quali non aveva avuto più notizia per una comunicazione errata che ad essi era stata fatta e cioè di un suo trasferimento a Mantova. Una loro missiva inviata per rassicurarlo era stata rispedita al mittente. Così scriveva l'antifascista monzese ai suoi cari:
Fino ad ora non ho avuto nessuna vostra notizia, dopo ch'io vi scrissi parecchie volte, come mai? questo vostro silenzio mi rattrista assai. Vi dissi di spedirmi viveri e pane - i miei calzoncini blu di mare e occhiali necesser per barba e baffi, sia pure un assegno bancario da lire cinquemila, uno zaino, dove possa mettere la roba a mia disposizione, ma, come vi dico sopra non ho ricevuto nulla, nemmeno un rigo di risposta. Non so cosa pensare. Al solo pensiero di non essere ricordato, brutte visioni passano davanti a me. Ma, non insisto a ciò,...siete forse preoccupati chissà,...da quante cose. Io vi penso tutti bene e di salute buona, come ottima è la mia. Ne approfitto della venuta della signora Levi [?] per farvi pervenire questo mio biglietto che gentilmente si offre. se avete bisogno di più ampie spiegazioni rivolgetevi alla signora Passerini, salutatemi il Rag. Passerini. Vi bacio tutti caramente bacini ai bambini. Saluti sig.Grilli Iolanda e Luisa.
Il 6 la famiglia gli spedì un pacco ma nessuno sa se lo ricevette mai.
Ambrogio Avvoi - Nato il 12 aprile 1894 a Lissone. Residente in via Carlo Alberto 2 a Monza; sposato con Alessandrina Dassi, di professione falegname ebanista. Di fede comunista, Siro Riboldi nel suo volume Un triangolo di stoffa così lo descrive:
Rivoluzionario di vecchia data, gran tempra di uomo lottatore, barricadiero sempre propenso a risolvere situazioni con un'azione di forza.
Fu arrestato a Monza per la sua opposizione antifascista ai primi di marzo del '44 e portato in un primo tempo nella prigione del capoluogo brianzolo. Il 20 marzo fu condotto in carcere a Milano dove rimase per due mesi e mezzo. Sulla scheda di partenza dei lavoratori per la Germania risalta la scritta rivelatrice della sua vera condizione "Internato civile/Rastrellato SS Germanica"15. Il 9 giugno 1944 con un corposo gruppo di altri detenuti fu trasferito a Fossoli16. Giunse in seguito a Bolzano dopo lo spostamento al nord del principale campo di raccolta italiano, qui ebbe la matricola 158517. Avvoi fece parte di quel gruppo di prigionieri che fuggì presso Vipiteno dal convoglio partito da Bolzano il 14 dicembre 1944 per Flossenbürg, di cui faceva parte anche Silvio Mandelli di cui abbiamo già parlato. Purtroppo per loro l'evasione non andò a buon fine, infatti vennero tutti ripresi vicino Bressanone e, dopo qualche giorno passato nel carcere locale, furono riportati a Bolzano e rinchiusi nel blocco punitivo "Celle". Mentre per Mandelli viene riportata una data di detenzione che va dal 16 al 19 gennaio, per Avvoi la data diviene dal 16 dicembre al 19 dicembre; è quindi possibile che si tratti di un errore di trascrizione anche se quel che è sicuro che l'antifascista monzese, così come il compagno di fuga, furono ricaricati su un altro treno merci, quello che il 19 gennaio 1945 lasciò Bolzano per raggiungere ancora Flossenbürg il giorno 23.
Fu immatricolato con la serie numerica 43841 e classificato politisch. Anche il suo nome compariva come per Mandelli nel documento di cui abbiamo riportato il testo a pagina ... in cui si prevedeva un "trattamento particolare" per i fuggitivi del trasporto precedente. Ambrogio Avvoi, forse appunto per il "trattamento particolare", morì a Flossenbürg l'8 marzo 1945, a poco più di un mese dalla sua entrata nel campo di sterminio.
Stefano Belli - n. 06.01.1911 Monza. Residente a Sesto S.Giovanni (Mi). Operaio aggiustatore Falck Concordia. Arrestato 28.03.1944 in casa in seguito agli scioperi del marzo 1944. Deportato il 05.04.1944 a Mauthausen; m. 05.05.1945 Gusen.
Angelo Beretta - Nato il 7 ottobre 1923 a Monza, città nella quale risiedeva in via S.Rocco 11. Celibe e appartenente a famiglia antifascista, lavorava come tornitore alla Falck Unione Oman. La matricola a Mauthausen fu 58708; fu inviato il 24 marzo al termine della quarantena a Gusen, dove rimase fino al 16 aprile quando fu destinato a Wien Schwechat. L'ultimo trasferimento fu verso Wien-Hinterbrühl4; il 31 marzo fu ucciso dalle SS con un'iniezione di benzina al cuore o col gas in quanto ritenuto non idoneo a sostenere la marcia di evacuazione dal campo di Hinterbrühl a Florisdorf.
Rosa Beretta - Nata il 17 aprile 1924 a Monza e domiciliata a Cascina Mandelli 136. Nubile, lavorava come operaia ribattitrice alla V sezione della Breda. Fu arrestata il 12 marzo 1944 in casa, di notte, con l'accusa di aver partecipato al grande sciopero operaio del marzo '44; nello stesso giorno fu reclusa a S.Vittore con il numero di matricola 1890, consegnata dall'Ufficio politico della Questura. Le dettagliate annotazioni del registro rivelano anche che Rosa Beretta era alta 1,68 ed era bionda. Il 13 fu già spostata nel raggio governato dai tedeschi dove venne nuovamente immatricolata questa volta con il numero 16484. Anche per lei esiste una scheda per lavoratori inviati in Germania nella quale, oltre ad una data di partenza falsa, è riportato solo la sua dipendenza dalla "SS Germanica".
L'operaia della Breda fu deportata con un convoglio partito il 5 aprile ed arrivato l'8 a Mauthausen. L'unico treno di deportazione con queste date di partenza ed arrivo è quello che partì da Bergamo carico di 340 uomini e 40 donne e che Italo Tibaldi nella sua opera suppone si sia congiunto a Milano con un troncone proveniente da Fossoli. Giunta nel lager austriaco la deportata monzese non risulta immatricolata, è invece impressionante la girandola di trasferimenti che fece conoscere alla giovane donna i peggiori campi di concentramento nazisti. Da Mauthausen, dopo essere transitata per il carcere centrale di Vienna, giunse infatti il 2 maggio 1944 ad Auschwitz Birkenau (matricola 81293) dove fu internata nel campo A, baracca 18, e sottoposta al lavoro forzato alla IG Farben. Il 30 agosto era però a Ravensbrück (matricola 62093), il lager prettamente femminile del sistema concentrazionario nazista; infine, il 16 novembre fu inviata a Buchenwald (matricola 31573); qui fu decentrata nel campo secondario di Taucha, in Sassonia, dove molte donne lavoravano in una fabbrica di lanciarazzi, frutto della riconversione della Hasag, un'industria che prima della guerra produceva lampadine. Sopravvissuta, tornò in Italia il 17 luglio 1945 ma dovette penare parecchio per riprendersi fisicamente e tornare ad una vita il più possibile normale.
Luigi Bersan - Nato il 16 marzo 1914 a Ronco all'Adige, in provincia di Verona e residente a Monza in via Oriani 6. Celibe. Operaio aggiustatore della Breda sezione V. Un certificato emesso dal Cln aziendale della Breda il 31 agosto 1945 recita:
Risulta a questo sotto Cln che l'operaio Bersan Luigi, deportato e deceduto in Germania, faceva parte della cellula comunista della Breda ed apparteneva alle nostre formazioni armate Gap clandestine nelle quali ha svolto la sua attività fino al giorno della sua deportazione.
Il 27 aprile venne trasferito nel campo di transito di Fossoli, dove rimase fino al 21 luglio 1944, giorno in cui venne trasferito a Bolzano. Da quest'ultimo campo di raccolta fu incluso nel trasporto che partì il 5 agosto per Mauthausen dove giunse il giorno 7 dello stesso mese. Nel lager austriaco fu immatricolato con il numero 82279 e classificato come schutzhäftlinge; dichiarò di esercitare il mestiere di meccanico. Fu trasferito a Gusen e poi tornò a Mauthausen, dove morì per deperimento il 20 marzo 1945. Fa riflettere il fatto che di Luigi Bersan, ma non è l'unico caso fra i deportati politici attivi nelle grandi industrie, sia presente una scheda di partenza conservata insieme a quelle dei lavoratori coatti, quasi a mascherare con un atto volontario quella che invece era una deportazione in un campo di sterminio.Il 25 luglio, nei giorni in cui Luigi era recluso a Bolzano, il fratello Giovanni, partigiano detenuto nel carcere di Monza, veniva impiccato in Brianza ad Aicurzio per rappresaglia verso un atto di sabotaggio contro un traliccio dell'alta tensione.
Osvaldo Bianchi - Nato il 31 agosto 1921 a Spino d'Adda (Cremona). Residente in viale Lombardia 288, Monza. Operaio delle Fonderie Pacchetti Monza. A S.Vittore matricola 1398. Nel carcere i detenuti ricevettero una coperta a testa, le celle non erano riscaldate e il freddo era intenso; si mangiava una volta al giorno, ci si lavava solo con acqua e non c'era la possibilità di radersi. A Bolzano Bianchi fu la matricola 9605, blocco D. Fu inviato a Moso in Passiria dove fu liberato.
Mario Bidoglia - Nato a Monza il 10 Settembre 1908 residente a Villasanta al momento dell'arresto. Professione: manovale presso lo stabilimento Breda di Sesto S.Giovanni (III sezione): Deportato a Mauthausen. Trasferito al sottocampo di Gusen e lì deceduto il 6 febbraio 1945. Monzese di nascita, ma residente a Villasanta(presso la cascina Ribaldi) al momento dell'arresto. Fu arrestato a Villasanta il 14 marzo 1944 per aver preso parte agli scioperi del marzo 1944. Deportato ala campo di concentramento di Bergamo il 5 aprile 1944, poi deportato a Mauthausen l'8 aprile 1944. Matricola 61563. Trasferito al sottocampo di Gusen il 4 maggio 1944: Lì deceduto il 6 febbraio 1945.
Sul certificato emesso dal Servizio internazionale della Croce Rossa internazionale datato 16 dicembre 1999 e redatto in lingua francese sono indicate come causa del decesso arresto circolatorio ed idropisia, ma va ricordato che la Croce Rossa si limitava a riportare ciò che trovava scritto nei registri dei Lager.
Emilio Biraghi - n. 18.11.1895 Monza. Pasticcere. Giunge a Dachau il 23.11.1943. Trasferito a Flossenbürg il 11.03.1944; m. 12.12.1944 Gusen.
Giovanni Bonacina - nato il 27 settembre 1885 a Monza. Deportato da Bolzano il 5 settembre 1944 per Flossenbürg, matricola 21457. Morto a Flossenbürg il 9 gennaio 1945.
Domenico Bonfanti - Secondo alcune fonti nacque il 28 luglio 1900, per altre il 31 luglio 1900. Per tutti il luogo di nascita è comunque Pessano con Bornago. Domenico Bonfanti risiedeva nel 1943 a Monza, in via S.Martino 3, con la moglie Giulia Bassani. Lavorava alla V sezione della Breda dov'era aggiustatore e dove svolgeva attività di propaganda antifascista. Fu arrestato per questo nella sua abitazione molto probabilmente il 30 giugno 1944, sempre se si accetta il principio per il quale la data di partenza trascritta anche per lui nella scheda di partenza dei lavoratori coatti, sia in realtà quella d'arresto. D'altra parte in tutti gli elenchi di deportati pubblicati in varie opere in cui Bonfanti è citato, viene genericamente segnalata la sua cattura nel luglio '44. In tale modulo, inoltre, si legge che il detenuto è a disposizione della "SS Germanica", ad ulteriore prova della motivazione politica del fermo di Bonfanti29. Il 7 settembre l'operaio della Breda fu inviato a Bolzano30. Nel lager altoatesino rimase un mese, fino al 5 ottobre, giorno in cui fu deportato a Dachau dove giunse il 9, compreso in un convoglio che trasportava quasi cinquecento persone, pigiate nei vagoni bestiame, affamate ed assetate come in tutti questi viaggi verso i campi di sterminio31. Fu immatricolato con il numero 113159 e inserito nella categoria dei deportati per motivi di sicurezza. Già il 26 ottobre fu trasferito nel kommando dipendente di Überlingen dove sicuramente partecipò alla costruzione del campo che doveva accogliere gli stessi deportati. Questi furono utilizzati per lo scavo delle gallerie nelle quali dovevano essere montati gli impianti per diverse fabbriche belliche di Friedrichschafen, duramente colpita dai bombardamenti. In sette mesi i prigionieri aprirono una galleria di quattro chilometri ma l'arrivo degli Alleati non permise l'avvio degli impianti, nel frattempo molti di loro avevano ceduto all'immane fatica, alla sottonutrizione e al freddo. Domenico Bonfanti perse la vita il 18 febbraio 1945.
Furono le truppe francesi che liberarono la zona e che stabilirono la riesumazione dei circa 180 morti di Überlingen e la loro dignitosa sistemazione in un apposito cimitero nella vicina località di Birnau, dove anche la salma del deportato monzese fu tumulata.
Enrico Bracesco - Nato il 10 aprile 1910 a Monza è uno dei personaggi più noti della Resistenza monzese e brianzola a causa della sua antica militanza antifascista, era iscritto al partito comunista clandestino dal 1935, e per le travagliate vicissitudini durante l'attività ribellistica. Già prima dell'8 settembre era segnalato come sobillatore all'interno della Breda V, tanto che il 1 giugno 1943 era stato citato a giudizio dal Tribunale militare territoriale di Milano insieme ad altri cinquanta operai di varie fabbriche per la partecipazione agli scioperi del marzo 1943. In particolare Bracesco ed altri sei operai della Breda erano accusati in quanto:
...quali mobilitati per il servizio del lavoro alle dipendenze dello Stabilimento Ausiliario "Ernesto Breda" di Sesto S.Giovanni, in concorso tra loro il 29 marzo 1943 ostacolavano il corso del lavoro, sospendendo arbitrariamente lo stesso per pochi minuti...
La denuncia gli causò quasi un mese di carcere fra processo e detenzione e il successivo licenziamento. La condanna ad un anno che ricevette non ebbe comunque effetto perchè passata nel frattempo in giudicato. Riusciva così, grazie anche a colleghi amici, a farsi riassumere alla Breda dove divenne caposquadra attrezzista. Una memoria del gappista Luigi Ratti lo definisce "...Animatore di eccezionale ascendente, agitatore instancabile, propagandista efficace e persuasivo". Tutta la famiglia dopo l'occupazione nazifascista appoggiò la Resistenza; il fratello Carlo gestiva una trattoria a Monza che venne spesso usata come base per riunioni e alloggio per uomini diretti verso le bande della montagna, la sorella della moglie, Matilde, diffondeva stampa clandestina lavorando anche lei alla Breda ed era attiva nel "Soccorso rosso". Nell'organizzazione gappistica Enrico entra già nell'ottobre del '4330. Nella concezione organizzativa dei Gap, limitare al massimo i contatti interni era garanzia di sicurezza in caso di arresto. Così anche i compiti erano distribuiti in maniera specifica; chi eseguiva un attentato con dell'esplosivo, si trovava le bombe pronte nel tal luogo e alla tal ora, senza sapere chi erano gli obiettivi. Così Bracesco veniva utilizzato soprattutto come procacciatore e trasportatore di armi. Anche Eugenio Mascetti, futuro organizzatore delle sap brianzole e antifascista di vecchia data, ne segnala la collaborazione per un trasporto di fucili ed esplosivo31. E' in questa funzione che il 4 novembre è alla guida di un piccolo autocarro con il quale ha consegnato a Muggiò a Michele Robecchi un grosso quantitativo di armi automatiche nascoste dopo l'8 settembre da militari in fuga nel cortile della scuola "Ugo Foscolo" di Monza. Un gruppetto di partigiani locali le aveva trafugate e nascoste parte in un fienile e parte in un cascinotto. Dopo l'arresto di uno di loro Bracesco, Paleari, Bersan e Rizzardi si recarono con un triciclo a prelevarle per poi organizzare un trasporto. Sulla via del ritorno, tra Cinisello e la Taccona, frazione di Muggiò, per motivi non conosciuti il camioncino si ribalta; il conducente è gravemente ferito e all'ospedale gli verrà amputata la gamba destra. Tornato a casa riprende i contatti con gli amici della Breda, ora impegnati nei grandi scioperi del marzo '44, ma è tenuto d'occhio dai fascisti. Rifiuta gli inviti a sfollare in campagna, a tenersi lontano dai punti caldi della rivolta operaia; di notte dorme presso Andreina, la sorella minore della moglie, tornando con cautela a casa talvolta al mattino. Sono le prime ore del 13 marzo (in altre fonti il 15) quando militi fascisti lo fermano e lo portano via. I momenti successivi all'arresto sono stati raccontati in alcune testimonianze rilasciate dalla moglie Maria Parma. Sono parole che ci fanno anche ricordare come il dramma, oltre che il deportato, coinvolgesse in maniera dolorosa mogli, figli e tutti i parenti più stretti.
Io non sapevo che lo avevano arrestato. Viene uno in casa mia e mi dice "Dov'è Enrico?". Io gli dico che è a farsi curare la gamba e lui mi dice di seguirlo con la mia bambina. Vengo caricata su una camionetta, mi portano al macello, dove ci sono le carceri. Lui era già lì ma io non l'ho visto. Loro mi hanno interrogato chiedendomi dove fosse Enrico. Io ho risposto "Non lo so, magari ce l'avete già qui voi". Volevano sapere da me tante cose di Enrico, ma io sono sempre stata vaga".
Il marito venne portato a S.Vittore, il rapporto delle presenze al 29 marzo lo da come detenuto nel braccio tedesco del carcere.
Grazie all'intervento di una cugina ho potuto rivederlo per un attimo, la settimana dopo. E' stata un'eccezione, in quanto i prigionieri politici non potevano ricevere visite. Lo hanno portato a Milano, alle carceri di S.Vittore e ricordo lo sguardo disperato che aveva dietro lo sportellino. Era affamato e aveva solo un filo di voce. La zia Maria, che mi accompagnava, uscì a comperare del cibo che gli lasciammo grazie all'umanità di un giovane militare tedesco di guardia, che finse di non vedere.
Una traccia della sua presenza è data anche per lui da una scheda di partenza per lavoratori in cui si legge la data del 20 marzo 1944 come giorno della partenza stessa. Come già rilevato per le altre schede, le date di partenza riportate coincidono sempre con quelle accertate dell'arresto, in questo caso potrebbe essere quindi un suggerimento per dirimere la questione della data certa della cattura di Enrico Bracesco. Il 27 aprile il carcerato fa parte del trasporto che conduce numerosi prigionieri "politici" a Fossoli. E' conosciuto, in questo campo, il suo numero di matricola, il 225. Ancora la moglie ricorda:
...venne trasferito dalle carceri di Milano al campo di concentramento di Fossoli. Tre viaggi feci, sempre sotto i bombardamenti aerei che ci costringevano a scendere dal treno per nasconderci tra le siepi, tra i campi. Non lo rividi più...
Da Fossoli il detenuto monzese scrisse undici lettere nei tre mesi di permanenza, in parte fatte uscire clandestinamente dal campo, data la limitazione di due missive al mese imposta ai prigionieri nell'invio della corrispondenza36. Sono scritti dove traspare soprattutto il lato umano della situazione, in modo particolare il dolore di un marito e di un padre di due figli piccoli che si trova lontano da loro ma anche la volontà di rassicurarli sulla propria condizione. Attraverso le maglie della censura e della prudenza qualche sprazzo di luce sull'ambiente che circonda Bracesco a Fossoli, in special modo quello creato dai suoi compagni di prigionia, emerge.
Si prestano in bisogni e gentilezze che non posso proprio lamentarmi, qua ci comprendiamo avvicenda, le nostre sventure, dolori, lontananze, tutto ci dividiamo, non manca però anche qualche sprazzo di allegria che ci creiamo tra noi compagni di camerata, insomma non si difetta di Fraternità, qualunque grado, o ceto di cui appartengono, siamo tutti uniti in blocco. Anche riguardo la mia gamba, dottori non mancano, son con noi, c'è anche uno che mi è venuto a trovare qualche volta all'ospedale quando ero a casa...
L'avvicinarsi del fronte alleato determinò la necessità di sgombrare gradualmente il campo di raccolta di Fossoli e trasferire i detenuti politici ed ebrei a Bolzano Gries, nel nuovo centro di transito per la deportazione nel Reich. Il 2 agosto Fossoli verrà definitivamente chiuso dalle SS. Bracesco annuncia in una lettera del 21 luglio la sua partenza per l'Alto Adige per il giorno stesso, anche se la meta è a lui sconosciuta.
Mia amatissima Maria, credo questa mia abbia la fortuna di raggiungerti. Si parto, non so dove, ma certo per un altro campo dove lo ritengono più sicuro. In tutti i modi non ti devi allarmare, io affronto il viaggio in condizioni di salute molto buone, anche moralmente a posto, non vedo proprio male in questo cambiamento, anzi credo di poter dare presto mie notizie...
Il trasporto avvenne utilizzando autocarri e corriere che formarono una colonna chiusa dai side-car tedeschi. Traghettarono a S.Benedetto Po e giunsero a Verona in serata. Il giorno successivo ripartirono per Bolzano, dove arrivarono alle ore 22.00. Da qui l'ultimo contatto con la moglie Maria.
Un giorno mi arrivò in una busta un biglietto scritto a matita da lui. Probabilmente lo aveva lanciato da un reticolato del campo ed era stato raccolto da una buona persona. Nel biglietto mi chiedeva d'inviargli dei documenti che comprovassero la sua invalidità, perchè c'era una speranza che non lo avrebbero mandato nei campi di sterminio nazisti. Feci quanto mi chiedeva, ma non ebbi risposta e la mia angoscia crebbe. Lo immaginavo debole, indifeso con le stampelle e quindi con grosse difficoltà. Scrissi anche al comando di Verona, ma tutto fu inutile.
Il giorno 4 agosto Enrico Bracesco faceva in tempo ad aggiungere che:
...oramai è quasi inutile tentare ciò che in precedenza scrissi, perchè in questo giorno ci fanno partire per la Germania, ma non fa nulla, non mi dispero perchè fa parte del mio carattere, prendo tutto come viene e t'assicuro che mi so adattare in ogni luogo mi portino, anche se saranno fiori con spine e poco profumo...
Il 5 agosto Bersan, Rizzardi e Valagussa videro salire con loro su un vagone piombato quest'uomo con le sue stampelle, anche lui destinato a Mauthausen. Nel suo libro di memorie il partigiano biassonese Siro Riboldi, rievoca l'arrivo al lager in compagnia di Enrico Bracesco.
...nel frattempo iniziò il nostro calvario. I soldati cominciarono a percuotere i deportati con mezzi di qualsiasi genere dalle pedate, ai moschetti con ingiurie e altro. Io mi trovavo nel mezzo della fila accanto al povero Bracesco, Canzi e il prete. Nel vedere Bracesco camminare con uno sforzo sovraumano, essendo senza una gamba, lo aiutai a non perdere il passo della marcia e a trascinarlo di vera forza verso il campo.
La matricola 82293, "deportato per motivi di sicurezza", si dichiarò meccanico. Fu trasferito successivamente prima nel sanitatslager, la sezione medica e infermieristica del campo di sterminio dove tutto si faceva fuorchè curare i malati, e poi al castello di Hartheim dove morì l'8 dicembre 1944.
Ernesto Caglio - Nato il 12 febbraio 1889 a Spino d'Adda, in provincia di Cremona. Viveva a Monza in via S.Gottardo 10 con la moglie Adele Valtorta; la coppia aveva una figlia di trent'anni. Lavorava alla Breda sezione I come meccanico. Vecchio militante comunista, operava da tempo nell'attività clandestina di fabbrica; Eugenio Mascetti, suo collega e futuro organizzatore della Resistenza garibaldina in Brianza, lo segnala nel suo libro come componente dei quadri del partito all'interno della sezione I della Breda. Caglio fu arrestato in casa, di notte. Giunto a Mauthausen ebbe la matricola 58758 e fu poco dopo trasferito a Gusen; da qui in data non nota a Wien Schwechat e poi a Wien Floridsdorf. Probabilmente sfinito ed ammalato per il duro lavoro, la denutrizione e i soprusi, il cinquantacinquenne deportato fu ricoverato nell'infermeria del campo da dove, come molti, venne trasportato per essere finito a Hartheim, dove morì il 30 settembre 1944.
Ferdinando Calcinati - n. 05.05.1926 Monza. Tornitore alla Breda Fucine. Arrestato a Delebio (So) il 02.07.1944 per essersi unito ai partigiani delle formazioni della Valtellina.. Deportato da Milano 17.08.1944. Deportato da Bolzano il 05.09.1944 a Flossenbürg e poi trasferito nel sottocampo di Kottern.. Liberato a Dachau il 29.04.1945.
Almo Campana - Nato il 15 maggio 1909 a Bondeno, in provincia di Ferrara. Residente in via Marsala 14 a Monza. Meccanico alla Singer di Monza, faceva parte dell'opposizione politica interna all'azienda. In particolare la sua casa rappresentava un centro di raccolta e smistamento della stampa clandestina, attività a cui collaboravano il padre Primo e il fratello Ivano, dipendente della CGS di Monza e membro del comitato d'agitazione interno che promosse in questa fabbrica lo sciopero del marzo 194421. Anche alla Singer partì l'astensione dal lavoro nello stesso momento e, dietro la mascheratura di una rivendicazione riguardante un miglioramento della distribuzione dei viveri, poi ottenuto, emerse comunque il significato politico della sollevazione, quello della dimostrazione dell'opposizione operaia alla continuazione della guerra e alle pretese tedesche nella zona occupata. Gli stessi reparti delle SS e della Wehrmacht dovettero intervenire per costringere i lavoratori a tornare nei loro reparti. Il 4 aprile 1944 furono però i fascisti ad irrompere in casa Campana e a dar luogo ad una perquisizione durante la quale vennero rinvenuti volantini identici ad altri che erano già stati confiscati in fabbrica22. Almo e il padre Primo, sorpresi in casa, furono arrestati e portati in un primo tempo al carcere di Monza e poi, come di consueto, a Milano a S.Vittore. Il 9 giugno Almo Campana giunse a Fossoli ma già il 21 partiva per Mauthausen. Dalla fortezza austriaca l'antifascista monzese ebbe la possibilità di uscire per andare a lavorare probabilmente nella cittadina di Garsten, vicino a Steyr nell'Alta Austria, insieme a civili ed internati militari; il termine probabilistico è da ricondurre al fatto che nelle sue due lettere a noi giunte rivela di essere internato a "Garster" presso Steyr, località inesistente mentre è nota Garsten presso Steyr. In definitiva tutto ciò gli salvò la vita, sottraendolo all'attività di puro sterminio perpetrata all'interno del lager principale e permettendogli di tornare a casa al termine della guerra.
Primo Campana - Nato l'1 gennaio 1882 a Bondeno, in provincia di Ferrara. Residente in via D'Azeglio 2 a Monza; coniugato con Maria Banzi, era padre di cinque figli fra i quali il deportato Almo Campana (vedi il paragrafo "Partigiani in fabbrica") e Ivano, anche lui antifascista attivo che sfuggì alla cattura. Era pensionato con una lunga attività di fornaio; nel registro del campo di Bolzano lo si trova però anche con la mansione lavorativa di guardiano, mentre a Mauthausen si dichiarò fabbro. Primo Campana fu arrestato in casa il 4 aprile 1944; su una inattendibile scheda per lavoratori da inviare in Germania figura insieme ai dati anagrafici la più veritiera definizione di "internato politico"23. Le fasi dell'arresto sono già state descritte nella biografia di deportazione dedicata al figlio Almo, insieme al quale fu fermato. La sequenza dei trasferimenti è simile a quella di tanti altri brianzoli, ossia il primo approccio con la carcerazione a Monza e il passaggio successivo a S.Vittore. Il 9 giugno 1944 andò ad infoltire il consistente gruppo di antifascisti monzesi rinchiusi nel campo di Fossoli24. Della permanenza di Campana nel durchgangslager modenese abbiamo la sua testimonianza diretta attraverso due lettere inviate una al figlio Ivano e l'altra alla moglie Maria. Il contenuto per gran parte è di colloquio personale con i familiari, ma due cose si possono cogliere. L'una è l'accenno al fatto che il figlio Almo è stato con lui per un certo periodo di tempo, traendo dalla sua compagnia sostegno e conforto; poi, dalla sua partenza del 21 giugno per Mauthausen non ne ha saputo più nulla. L'altra è la data della seconda lettera, il 19 luglio, ossia sette giorni dopo l'eccidio di Fossoli; nulla traspare di questa vicenda dalle parole dello scrivente, evidentemente la censura tedesca funzionava perfettamente. Esiste un'altra lettera, scritta questa volta da Ivano Campana al padre nella quale fornisce notizie sul fratello già in Germania; il timbro postale di Monza è del 16 agosto ma la missiva torna a chi l'ha inviata senza spiegazione. La motivazione è però a noi molto chiara: il 22 luglio Primo era stato spostato al campo di Bolzano, dal quale già il 5 agosto era stato deportato a Mauthausen dov'era arrivato il giorno 725. Classificato anche lui come schutz, gli fu assegnata la matricola 82302.
Il sessantaduenne monzese resistette a lungo all'incubo della vita nel lager, ma a meno di un mese dalla liberazione, il 9 aprile 1945, morì nel sanitatslager di Mauthausen.
Livio Capra - Nato l'1 luglio 1913 a Monza in una famiglia che, oltre al padre Pietro e alla madre Celestina, contava sette figli. Livio non era sposato e lavorava come aggiustatore meccanico alla IV sezione della Breda. Fu arrestato a Monza già il 23 ottobre 1943 e dopo una breve permanenza nelle carceri di Monza fu avviato a S.Vittore dove rimase fino al 4 marzo 1944, giorno in cui fu destinato alla deportazione nel lager di Mauthausen. I deportati di questo transport, un centinaio circa, furono caricati su due vagoni merci nel sotterraneo della stazione Centrale di Milano e giunsero al Brennero nella notte successiva. Nella città austriaca di Innsbruck i prigionieri furono fatti scendere e condotti a piedi nel sobborgo di Reichenau dove sorgeva un piccolo campo con poche baracche di legno. Qualche causa di forza maggiore aveva impedito la continuazione del viaggio, dato che la permanenza in questo luogo si protrasse per una settimana. Ripresa la via della deportazione il treno arrivò a Mauthausen il 13 marzo alle 18 circa, a Capra toccò la matricola 57560 e il consueto inserimento nella categoria degli schutz; dichiarò il suo mestiere di meccanico. Fu distaccato il 15 aprile a Gusen, dove morì alle 7 del 9 aprile 1945. Le sue ultime ore furono testimoniate da un compagno di prigionia, Athos Gori.
Mi ricordo di un compagno di Monza, un certo Capra. Una sera, prima di andare al lavoro, cercava di vendere il pane per avere una sigaretta. "Capra, Capra, cosa fai?!" Le ultime sue parole: "Gori, lasciami, lasciami levare l'ultima soddisfazione. Tanto non ce la faccio più". Ha venduto quel pezzo di pane e si è fumato la sigaretta. L'indomani mattina l'ho trovato morto nella sua branda".
Libero Casarini - Nato l'8 marzo 1912 a Colico, allora in provincia di Como, ora in quella di Lecco. Residente a Monza dov'era sposato, aveva un figlio di cinque anni e svolgeva l'attività di decoratore. Era un antifascista che aveva strette relazioni con l'ambiente operaio monzese. Fu arrestato a Monza probabilmente all'inizio del 1944, dato che fu deportato con il trasporto del 4 marzo 1944, successivamente ad una permanenza di durata non nota nel carcere di S.Vittore.
All'arrivo del 13 marzo fu immatricolato all'entrata del campo con la serie numerica 57562, schutz e si dichiarò imbianchino. Fu inoltrato poco dopo al campo di Ebensee dove morì il 28 gennaio 1945. I resti di Libero Casarini sono sepolti nel cimitero di Ebensee Friedhof dov'era una fossa comune del campo.
Giuseppe Casati - Nato il 13 luglio 1912 a Monza. Residente a Monza in via Sempione 38; coniugato con un figlio. Svolgeva l'attività di aggiustatore presso la sezione V della Breda. Matricola a Mauthausen: 58780. Fu trasferito dapprima a Gusen per poi tornare al campo centrale il 14 aprile 1944; di nuovo inviato in un kommando dipendente a Linz III, e poi in un terribile ping pong di nuovo a Mauthausen il 31 novembre 1944 e il 9 dicembre a Steyr Münicholz. Fu in quest'ultimo campo satellite che Giuseppe Casati morì il 25 gennaio 1945.
Achille Castoldi - Nato il 28 maggio 1914 a Monza. Residente nella stessa città in via Zucchi 12; non era sposato. Era occupato come operaio tranciatore alla Breda sezione V, fu prelevato anche lui nella propria abitazione ma di giorno. Dopo l'arrivo a Mauthausen (matricola 58785), seguì lo spostamento più comune a cui furono assoggettati i deportati di quel trasporto: il trasferimento a Gusen il 24 marzo. Qui lavorò anche nelle squadre addette allo scarico e conservazione delle patate, come ricorda Angelo Signorelli3. A Gusen Achille Castoldi morì il 22 aprile 1945 nel blocco 24, trasformato in camera a gas dalle SS nelle ultime stragi dettate dalla ferocia nazista.
Carlo Giuseppe Cerizza - n. 19.09.1920 Monza. Tornitore alla Breda aeronautica. Arrestato a Genova il 25.07.1944. Deportato da Milano il 17.08.1944. Deportato da Bolzano il 05.09.1944 a Flossenbürg. Liberato a Dachau.
Mario Certa - Nato il 23 febbraio 1889 a Verona. Domiciliato a Monza in via Metastasio 3 con la moglie Luigia De Mori. Aveva un figlio di 24 anni e una figlia di 19. Lavorava alla Falck nel reparto Forgia come operaio manovale. Una testimonianza della figlia di un altro deportato, Angelo Zampieri, lo ricorda come un uomo dalla statura non indifferente, le note del registro del carcere di S.Vittore lo danno alto 1,82, forse già in pensione, e che era stato denunciato perchè in osteria, dopo aver alzato un po' il gomito, ne aveva dette di cotte e di crude su Mussolini6. Da Mauthausen, matricola 58791, fu anch'esso trasferito a Gusen, dove lavorò allo scavo delle gallerie che dovevano ospitare i macchinari degli impianti bellici tedeschi7. Un lavoro massacrante e dove i kapò erano particolarmente brutali; probabilmente Certa si ridusse in condizioni pietose perchè finì i suoi giorni il 29 dicembre 1944 al castello di Hartheim, dove frequentemente venivano mandati i malati dell'infermeria per essere finiti.
Gerolamo Colombo - n. 21.09.1912 Monza. Residente a Sesto S.Giovanni (Mi). Coniugato con Martinini Antonia, 1 figlio. Operaio verniciatore Breda 5. Arrestato 14.03.1944 in seguito agli scioperi di quel mese; m.21.01.1945 Gusen.
Giuseppe Colombo - Nato il 9 ottobre 1895 a Samarate, in provincia di Varese; residente a Monza in via Amati 12. Coniugato con Teresa Fabbro e padre di tre figli. Antifascista di lunga data, era segnalato nel Casellario politico centrale fin dal 1929 come comunista. Aveva contatti con Eugenio Mascetti, l'organizzatore della Resistenza in Brianza5. Dipendente della CGE di Monza dov'era meccanico, la scheda contenuta nel fondo lavoratori coatti segnala la sua partenza il 22 febbraio 1944 che quindi, come già più volte espresso, dovrebbe essere la sua vera data di arresto6. Passato per il carcere di Monza e quello di S.Vittore, fu inviato il 27 aprile a Fossoli e da qui fatto partire per Bolzano, località che fu raggiunta il 22 luglio. Da questo campo di transito partì con il convoglio del 5 agosto che tanti brianzoli portò a Mauthausen. Colombo ebbe il numero di matricola 82333. Trasferito il 13 agosto a Gusen, il 22 aprile 1945 fu gasato di notte nella baracca 24 insieme a quasi ottocento altri deportati di svariate nazionalità. Erano i primi effetti degli ordini emanati da Himmler che, con l'avanzata degli Alleati ormai inarrestabile, aveva dato l'ordine di eliminare tutti gli internati di Gusen.
Mario Colombo - n. 09.05.1925 Monza. Partigiano. Colombo riuscì a salvarsi dalla battaglia del monte S.Martino, rifugiandosi in casa sua a Milano nel quartiere di Baggio; tradito da un amico, fu incarcerato e poi deportato ad Ebensee; m. 17.05.1945 Ebense.
Umberto Diegoli - Nato a Monza il 23 maggio 1926. Operaio ribattitore presso la Breda V all'interno della quale era già attivo dall'inizio del '43 nella propaganda antifascista. Aderì ai Gap sin dall'ottobre 1943 con il grado di combattente nel 17ºdistaccamento17. In questa veste partecipò al sabotaggio della linea ferroviaria che serviva la Falck e all'attentato al corteo funebre del federale Aldo Resega il 20 dicembre. Il 13 febbraio alle sei del mattino fu arrestato nella sua abitazione monzese per aver preso parte all'azione contro la Casa del fascio di Sesto S.Giovanni. Duramente picchiato e torturato nel primo interrogatorio al carcere di Monza nel quale subì anche una finta fucilazione, fu portato dopo dieci giorni a S.Vittore18. Il 27 aprile fu avviato al campo di concentramento di Fossoli dove rimase per quasi due mesi. Da S.Vittore i detenuti di quel trasporto furono trasferiti con dei camion alla stazione Centrale e qui vennero caricati sui carri merci nelle stesse modalità e nello stesso luogo sotterraneo che vedremo in dettaglio parlando dei deportati ebrei. Della sua permanenza nel campo modenese Diegoli ricorda che:
...Nella mia baracca eravamo io , Paleari, Rizzardi, Bracesco, Bersan. La vita a Fossoli era anche monotona, alla mattina l'appello e poi niente. Qualcuno faceva lavori di manutenzione, recintare il campo, piantare pali. Nel campo degli ebrei una notte sono entrate delle SS ubriache, hanno buttato in aria dei bambini piccoli o neonati e gli hanno sparato. Una cosa terribile. Un mattino su alcuni camion ci hanno portato a Modena e caricati su vagoni piombati. Mi ricordo che alcuni contadini, era il mese delle ciliegie, hanno buttato nei vagoni cassette intere di ciliegie mentre ci facevano salire. I tedeschi lasciavano fare. In stazione non c'erano parenti o amici, nessuno sapeva niente di questa partenza.
Il convoglio che lo portò in Germania fu quello che da Fossoli partì il 21 giugno per Mauthausen, lo stesso di Paleari con il quale intreccerà la sua vicenda. Fu trasferito con lui a Wels, un campo satellite di Mauthausen dove si effettuavano riparazioni di componenti di auto e di aerei e poi a Linz. A questo proposito Diegoli ricordava:
Ci andò bene perchè ci misero a lavorare negli stabilimenti aeronautici, ci prendevano dalle baracche al mattino e ci riportavano alla sera, fu una vera fortuna perchè in fabbrica si poteva mangiare. Il campo di concentramento era già in pieno lavoro e noi sapevamo già prima di arrivare dei crimini che vi venivano commessi. Quando ci facevano fare la doccia nel campo, si vedevano oltre le bocche d'uscita le camere a gas. Avevamo sempre paura di morire.
Il 10 aprile 1945 Diegoli e Paleari però evasero. Chiamati di notte per fare delle riparazioni e rimuovere delle macerie a Linz, appena bombardata, fecero saltare i fari che illuminavano l'area di lavoro e coperti dall'oscurità fuggirono, mentre le guardie sparavano qualche mitragliata alla cieca. I due raggiunsero Vienna dov'erano già arrivati i russi e, dopo altre peripezie che li portarono anche in territorio sovietico, Innsbruck dove invece furono raccolti dagli americani. Dopo aver toccato anche Monaco di Baviera ed aver attraversato una Bolzano ancora in mani tedesche, giunsero a Milano l'8 maggio 1945.
Antonio Duca - Nato il 23 febbraio 1914 a Bariano, provincia di Bergamo. Risiedeva a Monza dal 1922, al momento della deportazione esattamente in via Lario 393. Non era sposato. Lavorava come tornitore alla Falck Unione. Nella sua registrazione a S.Vittore è possibile leggere distintamente il nome del capo-scorta della Questura che consegnò il gruppo al carcere: Lino Pandolfi. La matricola a Mauthausen fu 61625 ma già il 28 aprile fu dislocato a Gusen. Sopravvisse alla dura prova di questo campo e il 24 giugno 1945 rientrò in Italia.
Luigi Fazzi - Nato il 25 dicembre 1907 a Casalmaggiore in provincia di Cremona. Abitava in via Carlo Rota 12 a Monza, dove esercitava la professione di impiegato. Fu arrestato a Monza, incarcerato a Milano e deportato a Bolzano il 14 febbraio 1945. Qui ricevette la matricola 9616 e fu sistemato nel blocco K e poi C. In seguito fu aggregato al gruppo di prigionieri decentrati a Vipiteno, luogo dove fu liberato al termine della guerra.
Italo Fedeli - Nato l'1 novembre 1915 a Monza. Celibe, era residente sempre a Monza in via S.Gottardo 45; era quindi vicino di casa di Ernesto Caglio col quale, molto probabilmente, venne arrestato5. Fedeli lavorava come operaio meccanico alla Caproni, l'industria aeronautica con sede nella storica fabbrica di Taliedo, quartiere di Milano. Immatricolato a Mauthausen con il numero 58857, venne anche lui trasferito a Gusen e poi a Wien Schwechat. La scheda Sir Arolsen lo segnala come deceduto il 26 giugno 1944 a causa di un bombardamento aereo a cui fu sottoposto quel campo; Schwechat, sobborgo di Vienna sede anche di un aeroporto, in effetti fu l'obiettivo di molte incursioni alleate e una delle più devastanti fu proprio quel giorno nel quale produsse diversi morti anche fra i deportati.
Luigi Ferrari - Nato il 15 maggio 1906 a Seriate, in provincia di Bergamo. La sua famiglia era composta dalla moglie Elisa Carminati e da due figli e abitava in via Marelli, nella frazione di S.Fruttuoso di Monza. Era operaio alla Falck Vittoria di Sesto S.Giovanni. La sua matricola a Mauthausen fu 61633. Trasferito a Gusen il 7 maggio 1944. Morì a Gusen II il 12 marzo 1945.
Franco Fossati - Nato il 4 marzo 1926 a Monza. Residente in via S.Fruttuoso 50, Monza. Operaio della Falck Unione. Fossati era un concentrato di tutto ciò che poteva fare un avversario del nazifascismo in un territorio come la Brianza: postino delle cellule di Resistenza in Falck, partigiano combattente a S.Fruttuoso e renitente alla leva. Nella grande ferriera sestese era attivo nella propaganda politica, soprattutto portando la stampa clandestina da un posto all'altro ma anche partecipando ad azioni di disturbo come la modifica e la distruzione della segnaletica tedesca, così da creare confusione nelle retrovie. Con il gruppo di S.Fruttuoso partecipò ad azioni di sabotaggio della linea elettrica e al recupero di armi che venivano nascoste in un cascinotto nella zona del cimitero cittadino.
All'inizio del 1944 Franco Fossati doveva rispondere alla chiamata per l'esercito della Rsi ma scelse, come molti altri suoi coetanei, di darsi alla macchia, venendo per questo licenziato dalla Falck. Riuscì a riallacciare i contatti con lo stabilimento, i cui dirigenti gli promisero l'esonero dal servizio militare per necessità della produzione bellica. Dopo circa un mese e mezzo, però, l'arresto. Alle sei del mattino i militi entrarono direttamente in casa, sfruttando la porta lasciata aperta dalla madre del ragazzo. Fossati, preso di sorpresa, non ebbe modo così di usufruire della via di fuga che teneva pronta: una corda attaccata ad una finestra che gli avrebbe permesso di calarsi in un altro cortile e fuggire. Arrivato anche lui il 23 gennaio a S.Vittore gli venne assegnata la matricola 1397. A Bolzano, matricola 9638, fu dapprima internato nel blocco D e utilizzato nei lavori di riparazione della ferrovia. Significativi per la conoscenza della vita nel campo e la sua disciplina, sono due episodi raccontati da Fossati:
Al mattino ci mandavano nel piazzale per l'appello e io ho marcato visita, avrò avuto 40º di febbre. Mi ricordo che è venuto vicino a me un nazista con i gradi e mi ha mollato un potente scapaccione. Niente visita medica e filare con gli altri...
...All'entrata del campo c'era una SS, una donna giovane che buttava per terra donne di ottant'anni. La disumanità, la bestialità di questa donna mi ha un po' scosso.
Poco dopo il suo trasferimento al blocco K, Fossati fu incluso in una lista di trasporto per Mauthausen. I prescelti per la deportazione furono avviati a piedi alla stazione del capoluogo altoatesino e caricati su carri bestiame. Il convoglio, arrivato nei pressi del paese di Fortezza, si dovette bloccare per i bombardamenti in corso e i tedeschi decisero di scaricare i prigionieri e concentrarli a Vipiteno. E' qui che, vedendo le truppe tedesche in ritirata, gli ormai ex-deportati capirono di essere vicini alla liberazione; le guardie qualche giorno dopo si diedero alla fuga e anche Fossati iniziò la sua marcia verso casa, sfruttando ogni mezzo per ritornare a Monza dai familiari che lo videro arrivare
...vestito da galeotto, con una verniciata di rosso sulla schiena a croce, il 9638 con il triangolino rosso, pelato e barbuto..."
Giulio Frangini - Nato il 20 maggio 1896 a Monza e qui residente in via Berchet 5. Coniugato con Ester Tatto. Lavorava dal 2 febbraio 1942 come manovale specializzato tornitore alla Breda sezione V. Il 10 luglio 1942 venne licenziato perchè cantava inni sovversivi e per questo fu poco dopo processato e condannato con sentenza del 25 agosto a due anni di confino con la seguente motivazione: "Canta Bandiera rossa nello stabilimento in cui lavora". Il 4 novembre fu prosciolto con la condizionale8. Con la caduta del fascismo ebbe modo il 12 agosto 1943 di essere riassunto alla Breda ma la sua fama di antifascista lo rese malvisto dalla dirigenza e il 15 gennaio 1944 la sua qualifica fu retrocessa a manovale comune9. Con questi precedenti il suo arresto dopo lo sciopero era scontato. E' conosciuta la sua matricola a S.Vittore: 187310. Per Frangini sono presenti nel fondo "Uffici milanesi dell'assistenza post-bellica" dell'Archivio di Stato di Milano ben due schede di partenza che camuffano la sua condizione di arrestato e poi di deportato con quella di regolare lavoratore in Germania; in una viene segnalato come ente di reclutamento l'Ufficio provinciale di collocamento di Milano, nella seconda un significativo Ufficio provinciale di collocamento di Bergamo11. Un particolare ricordo di Giulio Frangini per una sua trovata durante il viaggio che portava i deportati a Mauthausen, è riportato da Angelo Signorelli nel suo libro di memorie:
Il secondo giorno, Frangini, di Monza, un antifascista che aveva già subito il carcere e il confino per ragioni politiche, aveva appena fatto il suo bisogno e lo avvolse in un foglio di carta per buttarlo fuori, come avevamo stabilito. Si stava transitando in una piccola stazione del Veneto ed egli, guardando dal piccolo finestrino, vide un fascista in divisa ai margini della ferrovia: riuscì a centrarlo in pieno; io, guardando fuori, lo vidi che, urlando, correva dietro al treno. Ci fu uno scoppio d'ilarità e di gioia anche fra di noi.
Fu l'ultima rivalsa di Frangini verso i fascisti da lui da sempre detestati. Da Mauthausen, dove aveva ricevuto la matricola 58870, il deportato monzese fu inoltrato a Gusen e fu nel grande campo satellite che anche lui morì il 24 febbraio 1945.
Angelo Fumagalli - Era nato il 4 settembre 1905 a Monza e qui viveva in via Tommaseo 13. Era sposato con Ester Spada e aveva tre figli rispettivamente di 13, 10 e 3 anni. L'arresto avvenne all'interno della Breda V il 14 febbraio 1944 di notte durante il turno di servizio Unpa, cioè le squadre di protezione antiaerea pronte ad intervenire come soccorso in caso di bombardamenti. Questo impegno, essendo notturno, era stato trasformato dai gappisti in occasione d'incontro per l'organizzazione della loro attività. Anche per lui l'accusa era di aver fatto parte del nucleo d'assalto alla Casa del fascio sestese. Un'altra versione che si aggiunge alle precedenti è quella del gappista Carlo Talamucci che da per certa, oltre alla sua partecipazione personale all'azione, anche quella di Angelo Fumagalli, Umberto Diegoli, Carlo Magni e Luigi Ratti20.
Dopo la permanenza a S.Vittore fu dislocato a Fossoli e poi a Mauthausen, seguendo gli stessi spostamenti di Diegoli e Paleari21. Successivamente fu trasferito a Wels; sopravvivendo a due campi di concentramento potè ritornare a casa il 29 giugno 1945. Anche per lui esiste una scheda di partenza per il lavoro volontario datata anche in questo caso con il giorno dell'arresto.
Ettore Galimberti - Nato l'1 giugno 1913 a Monza. Residente nella stessa città in via Carlo Rota 70 con la sua famiglia, composta dalla moglie Angelina Scotti e dal figlio di soli due anni. Era impiegato come operaio specializzato gruista presso la Falck Vittoria.
Galimberti era comunista convinto e da subito dopo la creazione del regime nazifascista scelse di aderire alla resistenza armata. Un partigiano monzese che con lui condivise alcune azioni ricorda:
Un'altra azione che rammento è il trasporto di armi occultate in un carro agricolo trainato da un cavallo che durante quella notte accresceva il pericolo perchè s'impuntava di frequente e s'imbizzarriva a non voler procedere, accrescendo il nostro disagio ed il pericolo d'incappare in qualche pattuglia fascista o tedesca. Quando arrivammo a destinazione a Caponago nei pressi dell'autostrada eravamo attesi da un gruppo di partigiani che in breve volgere di tempo provvidero a ritirare le armi che avevamo trasportato. Era con me un valoroso compagno monzese di nome Ettore Galimberti che lavorava a Sesto S.Giovanni che aveva provveduto a realizzare quel collegamento. Qualche mese dopo veniva arrestato dai tedeschi e internato a Mauthausen.
Proprio in seguito a questa attività, Galimberti subì anche un primo arresto con relativo interrogatorio e pestaggio da parte del fascista Luigi Gatti alla Villa Reale di Monza alla fine del 194315. Anche per lui esiste nel fondo "Uffici milanesi dell'assistenza post-bellica" dell'Archivio di Stato di Milano una scheda di partenza come lavoratore per la Germania, nella quale è in evidenza la solita data ingannatrice, in questo caso quella del 12 marzo 1944, come partenza ma sappiamo bene che stabilisce invece il momento dell'arresto, mentre l'annotazione che lo rende disponibile alla "SS Germanica", tradisce la sua vera natura di deportato, dato che le SS non s'interessavano affatto dei lavoratori coatti. Giunto a Mauthausen e immatricolato con il numero 58883, fu presto inviato a Gusen.
Ettore Galimberti, così come Giulio Frangini, emerge subito come uno dei deportati più carismatici di questo trasporto, più esperti di lotta antifascista e di maggior aiuto verso gli altri. Ricorda Angelo Signorelli a Gusen:
La morte coabitava con noi, mi sentivo molto impaurito e sfiduciato. Alla sera, parlando tra di noi di quello che stava succedendo, eravamo tutti demoralizzati e quasi increduli; ma c'era sempre Galimberti Ettore che faceva coraggio a tutti e diceva di resistere e sopportare tutto, che presto sarebbe arrivata la liberazione e il ritorno a casa. Con quella speranza ho cercato di resistere.
A Gusen Galimberti lavorò nelle fabbriche belliche in cui venivano impiegati i detenuti del campo, in particolare alla Steyr; un impegno sfiancante nel quale per una settimana si era occupati per dodici ore di giorno e quella successiva per altrettante di notte; per compagnia le botte dei kapò e pochissimo riposo. Rileva ancora Signorelli a proposito del grande spessore morale di Galimberti:
Per i deportati che lavoravano alla Steyr, la settimana che lavoravano di notte, la ditta a mezzanotte passava una zuppa di orzo, oltre alla razione del campo, e saltuariamente, alla domenica, una fettina di carne bollita. Ettore qualche volta veniva a portare la carne a me e a Galbani, perchè sapeva che a noi non la davano, dicendo "Mangiatela, che siete giovani"... lui, affamato, che portava la sua carne a noi: era un fatto straordinario, di grande umanità. Così è stata tutta la sua vita.
Anche la scorza più dura, però, davanti agli orrori del campo di sterminio può avere dei cedimenti e, una sera, è Signorelli, diciassettenne, che deve risollevare il trentunenne compagno di prigionia:
Una sera andai da Galimberti e lo trovai, per la prima volta, molto demoralizzato; con le lacrime agli occhi mi disse: "Ci uccidono tutti, più nessuno andrà a casa, non possono lasciarci vivere per testimoniare tutte le atrocità disumane commesse dai nazisti". E m'informò degli ultimi deceduti, tra i quali Maino Isidoro, di Monza. Era proprio agli estremi, ormai, senza volontà di resistere. Io riuscii a scuoterlo e gli dissi: "Ma come, tu che hai sempre avuto tanto coraggio per tutti; io vengo a trovarti perchè quando vado via mi sento meglio, e adesso ti lasci andare. Guarda che non siamo ancora morti e si sentono i cannoni in lontananza, perciò dobbiamo resistere per poter godere la libertà e tornare alle nostre famiglie.". Per un attimo mi guardò, si scosse, mi abbracciò dicendomi: "Sono proprio uno stupido; hai ragione, dobbiamo resistere.
Signorelli e Galimberti si salveranno entrambi. Dopo la liberazione di Gusen il 5 maggio 1945 da parte degli americani, l'antifascista monzese si portò a Linz autonomamente per essere aiutato a rimpatriare prima. Fu uno dei pochi superstiti del gruppo degli scioperanti monzesi arrestati durante la retata del 12 marzo 1944.
Antonio Gambacorti Passerini - Nato il 14 giugno 1903 a Monza, abitava nella via che attualmente porta il suo nome che da accesso diretto al centro città. Antonio Gambacorti Passerini era dottore commercialista e gestiva come titolare un negozio di cartoleria. Socialista, la sua attività antifascista era iniziata ben prima dell'8 settembre. Già sul finire del '42, insieme ad altri socialisti aveva fondato un gruppo autonominatosi "Fronte di azione antifascista" che stampava e diffondeva come poteva un piccolo giornale clandestino intitolato Pace e Libertà. L'8 settembre lo vide in piazza, a pochi passi dall'Arengario, a raccogliere le adesioni per una Guardia nazionale mentre Gianni Citterio, caduto e medaglia d'oro della Resistenza, arringava la popolazione dal palazzo municipale.
Con questa esposizione pubblica, il passo era ormai compiuto verso il totale coinvolgimento nel nascente movimento resistenziale. Anzi, i socialisti locali e i futuri dirigenti delle Brigate Matteotti ne riconosceranno la funzione di capo nella città di Monza. Così si esprime Siro Riboldi nel suo libro:
Era il nostro capo riconosciuto, non si muoveva un dito senza il suo consenso che era sempre preceduto da saggi consigli ... Più di ogni altra esortazione insisteva nel raccomandarci di tenere la bocca chiusa anche sotto i più tremendi interrogatori.
Anche il figlio Piero, studente in medicina, aderendo al Fronte della Gioventù opererà nelle fila della Resistenza. Questa notorietà non sfuggì però neanche ai fascisti.
Dopo il suo arresto e il passaggio alla Villa Reale di Monza e alle carceri, entrò a S.Vittore il 24 maggio 1944 con la matricola 2169. Un ebreo misto, Gilberto Salmoni, lo ricorda bene per il sostegno che dava a tutti nel carcere di Milano:
Ricordo bene Passerini. A S.Vittore veniva a trovarci all'ultimo piano del raggio dove erano gli ebrei. Le celle erano aperte e si poteva circolare nel corridoio, non più in là. Passerini doveva far parte del Cln del carcere. Lo ricordo sorridente e di buon umore. Ci faceva coraggio e ci portava qualcosa da mangiare in più del rancio del carcere. Mia sorella, che era incinta, aveva ricevuti da lui un po' di riso e di latte.
Il 9 giugno fu inviato a Fossoli; Enea Fergnani nel suo volume Un uomo, tre numeri. San Vittore, Fossoli, Mauthausen, coglie l'attimo dell'arrivo del folto gruppo di detenuti politici da S.Vittore:
Per tutto il campo si diffonde una notizia che nello stesso tempo rallegra e addolora tutti noi che proveniamo dalle carceri di Milano. L'ultimo convoglio arrivato al campo è composto di detenuti di San Vittore. Corrono sulle labbra molti nomi noti: Passerini, Don Liggieri, Piraccini, Bracchetti, De Bartoli... Li hanno chiusi dentro una baracca, ma possiamo vederli attraverso le finestre. Corro a salutare gli amici. Salendo su alcuni mattoni sovrapposti, posso vedere nell'interno il folto gruppo di arrivati molti dei quali mi sono sconosciuti Vedo il dott. Passerini. Lo chiamo. "Anche tu qui? Ma non eri stato scarcerato?", domando. "Sì. Come tanti altri mi hanno "ripreso" dopo pochi giorni. Scarcerazione provvisoria." "Già, al solito. Alcuni giorni di libertà per poter pedinare, e seguire altre tracce. Il solito metodo di questa sporca polizia. Attenzione. Qui a Fossoli c'è gente di cui bisogna diffidare. C'è gente che vuol ritornare a casa ma senza fuggire. Mi capisci?.
Nella notte prima del massacro, nella baracca in cui il numeroso gruppo dei prescelti alla fucilazione era stato isolato, si era sviluppata come si è riferito un'animata discussione sulla possibilità di ribellarsi a quella presunta sorte. Passerini, da sempre contrario alla violenza e alle decisioni estreme, fu uno di quelli che gettò acqua sul fuoco:
Cercavo di convincere Passerini e tutti gli altri di questa realtà per organizzare assieme una sommossa e tentare di fuggire o almeno morire lottando. Purtroppo, però, Passerini riportò la calma cercando a sua volta di convincerci che non era vero che sarebbero stati fucilati.
Federico Gaviraghi - Nato l'1 gennaio 1903 a Monza e qui residente in via Donizzetti 496. Coniugato con Assunta Oggioni, aveva quattro figli di 15, 12, 10 e 8 anni. Il 10 luglio 1944 fu arrestato a Monza e subito trasferito nel carcere locale. Il 2 agosto entrò a S.Vittore dove il registro d'iscrizione dei detenuti specifica che l'arresto era dovuto ad "accertamenti di polizia politica". La matricola riportata è la 4871 e il mestiere registrato è artigiano conciatore. Il 31 agosto è trasferito al raggio di pertinenza tedesca28. L'invio da Milano al campo di transito di Bolzano risale al 7 settembre, nel registro di questo lager il prigioniero monzese dichiara di essere un contadino29. La sua vicenda prosegue con l'atto finale della deportazione in Germania, avvenuta il 5 ottobre con il convoglio diretto a Dachau dove giunse il 9 ottobre. Nel padre di tutti i lager gli venne attribuita la matricola numero 113356, fu qualificato come schutz e poco dopo fu trasferito nel campo dipendente di Ueberlingen, dove morì per la denutrizione e soprattutto per le sevizie già il 26 novembre 1944. Il suo corpo fu incenerito nel crematorio di Costanza il 1 dicembre e le ceneri riposte nell'urna nº119/1520 che ritornò in Italia il 24 settembre 1948. L'atto del decesso è disponibile presso l'Ufficio dello Stato civile di Ueberlingen.
Giuseppe Ghedini - Nato il 13 gennaio 1909 a Zola Predosa, in provincia di Bologna. Abitava nella casa di via Cortelunga 7 a Monza, dalla quale fu prelevato dai fascisti in piena notte davanti alla moglie Agata Agrillo, appunto il 14 marzo. Alla Breda sezione I, dove lavorava, era operaio specializzato aggiustatore. Proprio dall'archivio storico della fabbrica di Sesto S.Giovanni, emerge un'annotazione sulla sua scheda personale, dove è in mostra il chiaro intento di camuffare la deportazione del suo dipendente: "Licenziato il 6 maggio 1944 per trasferimento improvviso in Germania"8. Come sappiamo, a quella data Giuseppe Ghedini soffriva già a Mauthausen (matricola 58902), tanto da essere ricoverato qualche settimana dopo nel sanitatslager del campo ed essere quindi inviato al castello di Hartheim, dove morì il 22 agosto 1944.
Romolo Grilli - Nato l'11 marzo 1914 a Monza dove risiedeva e lavorava come autotrasportatore in proprio. Fu arrestato a Monza il 28 febbraio 1944 e condotto alla Villa Reale dove fu sottoposto a torture e pestaggi; Grilli non rivelò nulla dei suoi contatti e perciò fu gettato in una giornata dal freddo particolarmente pungente, nudo nella fontana della villa9. Anche lui passò dalle carceri del capoluogo brianzolo prima di arrivare a S.Vittore, centro di raccolta dei detenuti politici prima dello smistamento ai campi di transito italiani e poi della deportazione in Germania10. Il 9 giugno fece parte della corposa autocolonna che trasportò molti detenuti fra i quali diversi brianzoli a Fossoli; i carcerati incatenati per sei furono portati alla stazione Centrale con degli automezzi e poi in treno piombato fino a Carpi. Da qui fino a Fossoli a piedi11. Da questo campo partì il 21 luglio per raggiungere Bolzano, la nuova sede delle partenze per i lager nazisti a causa dell'imminente chiusura di Fossoli. Dopo due settimane Grilli fu inserito nel trasporto del 5 agosto destinato a Mauthausen. Durante il percorso il partigiano monzese riuscì a fuggire con un tenente degli alpini e a rientrare in Brianza. Si rifugiò a Trezzo d'Adda in casa di parenti, presso i quali rimase nascosto fino alla fine della guerra.
Agostino Mantica - Nato l'1 gennaio 1913 a Monza dove risiedeva. Lavorava all'Innocenti come operaio meccanico. Il suo percorso dopo l'arresto è ovviamente uguale a quello degli altri colleghi. Agostino Mantica ebbe la matricola 58962, schutz, fu trasferito in data non nota a Gusen per ritornare il 28 aprile 1944 al campo principale di Mauthausen. Il 26 luglio 1944 fu destinato al campo satellite di Linz III, sul Danubio nell'Austria superiore che era stato aperto poco prima, il 22 maggio 1944. I prigionieri, in questo che era il terzo nebenlager (campo secondario) di Linz, erano impiegati nella produzione dell'acciaio nella ditta Stahlbau, nell'assemblaggio del famoso carro armato "Tigre" e nella costruzione della fabbrica metallurgica. Proprio nei giorni 25 e 26 luglio, terribili bombardamenti distrussero gli impianti di Linz I e II, i cui detenuti insieme a quelli di Linz III furono impiegati per giorni e giorni nello sgombero delle macerie. Mantica morì pochi giorni dopo il suo arrivo a Linz, cioè il 2 agosto 1944; la scheda Sir Arolsen riferisce della registrazione di decesso per le ferite ricevute dopo un attacco aereo. Le motivazioni dei decessi dei deportati riportate su queste schede che trascrivono le annotazioni tedesche non sono quasi mai quelle reali, in questo caso, visto l'intensità degli attacchi aerei alleati sugli impianti metallurgici di Linz, l'ipotesi è almeno da tenere presente.
Isidoro Maino - Nato l'8 luglio 1905 a Monza. Residente in via Casati 98 a Monza con la moglie Isabella Merlini e il figlio di dieci anni. Lavorava alla Falck Unione Oman come operaio meccanico tornitore. Antifascista da lungo tempo, si era sempre rifiutato di prendere la tessera del partito fascista. Era impegnato nell'attività politica clandestina all'interno della fabbrica; portava dentro e fuori dalla Falck i volantini propagandistici nascondendoli nei tubi del telaio della bicicletta21. Nella scheda del fondo "Uffici milanesi dell'assistenza post-bellica", è allegata una richiesta di assistenza da parte dei familiari e l'annotazione "...prelevato per ragioni di p.s. l'11/3/44".
A Mauthausen ebbe la matricola 58953 e condivise con Ettore Galimberti e Angelo Signorelli il letto a castello nella baracca 16 di quarantena. Il 24 marzo fu trasferito a Gusen con la maggior parte degli operai deportati da Monza e Sesto S.Giovanni. Nel grande campo dipendente lavorò con Galimberti negli impianti della Steyr, in particolare nel reparto II, addetto alla tornitura delle canne dei fucili. Isidoro Maino morì per gli stenti a Gusen il 12 aprile 1945.
Antonio Marigo - Nato il 21 novembre 1919 a Piove di Sacco, Padova. Risiedeva da molto tempo a Monza, in via Rivella 270. Il 18 gennaio 1935 fu assunto come motorista alla V sezione della Breda, la divisione dove più diffusa ed irrequieta era l'animosità antifascista. Fu arrestato nel febbraio del 1944 probabilmente per attività sovversiva, dato che fu incarcerato a S.Vittore nel 6º raggio, quello di pertinenza tedesca dove finivano tutti gli elementi arrestati per motivazioni politiche; gli fu attribuita la matricola 1429. Il 27 aprile fu inserito nel folto gruppo di detenuti dell'istituto di pena milanese che furono trasportati a Fossoli; da qui anche lui il 21 giugno fu deportato a Mauthausen, dove riuscì a sopravvivere alle terribili condizioni di vita di questo campo di sterminio.
Pietro Massari - Nato a Monza il 29 settembre 1906. Residente nel capoluogo brianzolo in via Col di Lana 17. Era sposato con Maria Vailati e aveva un figlio di tre anni; un secondo nascerà dopo la sua partenza per la Germania nel mese di giugno. Lavorava come operaio manovale alla Breda sezione II. Il numero 58974 fu la sua matricola a Mauthausen da dove inizialmente fu spostato a Gusen, per ritorrnare poco dopo al campo centrale ed infine essere trasferito a Ebensee. Pietro Massari morì il 15 dicembre 1944 secondo varie fonti, mentre il Mauthausen totenbuch segnala il 25 dicembre; può darsi che vi siano stati degli errori di trascrizione della prima cifra. In ogni caso, in considerazione del fatto che la produzione di carburante da petrolio grezzo a Ebensee iniziò nel febbraio del '45, la data di decesso di Massari ci suggerisce che fu utilizzato come schiavo o nello scavo delle gallerie che avrebbero dovuto ospitare gli impianti di costruzione dei missili intercontinentali o nelle fabbriche di motori per carri armati e autocarri, la Steyr-Daimler-Puch e la Nibelungenwerke che invece presero posto in quei tunnel
Enrico Mentasti - Nato il 22 luglio 1915 a Monza, era lavoratore meccanico alla Singer, la filiale monzese della fabbrica americana di macchine da cucire. Operaio e partigiano partecipò con uno dei primi gruppi ribelli monzesi al trafugamento delle armi abbandonate dopo l'8 settembre nella scuola di via Foscolo, le stesse che poi furono consegnate al gruppo di Enrico Bracesco. Fu il principale animatore e punto di riferimento della cellula antifascista all'interno della Singer, attiva nella diffusione della stampa clandestina e motore dello sciopero del marzo del '44. Miracolosamente sfuggito alla cattura in aprile, quando caddero nella rete della polizia fascista i Campana e altri partigiani della Singer, non sfuggì all'arresto nell'autunno del 1944. Incarcerato a S.Vittore, fu trasportato con automezzi a Bolzano l'11 novembre e da qui deportato a Mauthausen il giorno 20 (matricola 110328). Morì in luogo non conosciuto il 25 gennaio 1945, dopo solo due mesi d'intensi patimenti.
Ernesto Messa - Nato il 28 agosto 1894 a Monza dove risiedeva. Operaio, era sposato e la sua numerosa famiglia comprendeva, oltre alla moglie, anche quattro figli. Fu anche lui trasferito da Monza a S.Vittore il 24 maggio 1944; nel carcere milanese ricevette la matricola 2168. Fece parte con gli altri monzesi del gruppo di detenuti internati a Fossoli il 9 giugno; qui ricevette la matricola 1589.
Vincenzo Moino - Nato il 26 maggio 1899 in quella che all'epoca era la cittadina di Melma in provincia di Treviso, borgo che mutuava il nome dall'omonimo fiume che l'attraversava, e che dal 1935 si chiamò Silea. Partecipò come artigliere alla prima guerra mondiale e durante gli anni Venti lasciò la sua terra d'origine, emigrante come tanti veneti a quel tempo.
Si stabilì quindi a Milano dove conobbe Vittorina Fabris, sarta alla Scala, che sarebbe divenuta sua moglie e dalla quale ebbe sette figli, di cui l'ultimo nacque dopo la sua cattura e che quindi non conobbe mai. La famiglia si trasferì poi a Monza in una casa di via Spalto Piodo 8, la strada che costeggia la riva del Lambro nel tratto cittadino del fiume. Manteneva la numerosa famiglia lavorando come muratore alla Breda IV sezione, dove non mancò di far trasparire il proprio antifascismo e di partecipare alla diffusione di volantini clandestini. Fu proprio sul posto di lavoro che venne arrestato il 28 febbraio 1944 con un operazione mirata verso la sua persona, generata probabilmente da una soffiata13. Le SS tedesche lo portarono prima a casa sua, dove perquisirono tutti i locali e trovarono anche alcuni manifestini che divennero prova d'imputazione; successivamente fu interrogato presso il comando germanico di Monza. Al momento dell'arresto Moino era riuscito ad avvisare tramite altre persone il figlio Bruno che fece in tempo a vederlo salire ammanettato sul tram della linea Monza-Milano, scortato da due tedeschi che lo avrebbero condotto a S.Vittore14. La permanenza nel penitenziario milanese fu breve perchè il prigioniero poco più di una settimana dopo si trovava sul trasporto partito l'8 marzo da Firenze e che aveva ricevuto altri deportati caricati a Fossoli e Verona. Anche la moglie di Moino cercò come tante altre consorti di vederlo in carcere per fargli avere vestiti e cibo, e come tante altre si sobbarcò il viaggio con mezzi di fortuna a Fossoli, ma non ebbe mai la possibilità di avere un contatto con lui.
Arrivò a Mauthausen l'11 marzo, matricola 57280, schutzhäftlinge. Vincenzo Moino morì a Gusen, il "lager degli italiani", il 31 maggio 1944 alle ore 6.00; il suo corpo venne incenerito il giorno dopo nel crematorio del campo.
Giorgio Montesini - Nato il 12 marzo 1910 a Lucerna, Svizzera. Risiedeva in via Spalto Isolino a Monza. Figura immatricolato con il numero 31 nel registro del braccio tedesco di S.Vittore con l'accusa di "mercato nero". Questo registro contiene i nominativi dei detenuti presenti dal 3 marzo al 21 aprile 1945 con i numeri di matricola che vanno da 1 a 2716. Considerando il numero molto basso di Montesini è plausibile che sia entrato in carcere nel marzo del '44. Il trasferimento a Bolzano è invece molto più tardivo e risale al 22 novembre; in questo campo è registrato come architetto e deportato a Mauthausen il 14 dicembre, per arrivare al lager il 19 dello stesso mese.
Fu schedato come schutz ed immatricolato con il numero 114040. Sopravvisse e fu liberato a Mauthausen il 5 maggio 1945.
Luigi Montrasio - Nato il 23 marzo 1909 a Monza. Residente in via Marco d'Agrate 21 dove viveva con la moglie Adele Moltrasio, il figlio di sette anni e la figlia di cinque. Luigi Montrasio lavorava come falegname modellista alla Caproni aeronautica; venne arrestato per sbaglio, le guardie cercavano un omonimo che abitava solo a cento metri di distanza e lavorava alla Breda. Il figlio ricorda con sicurezza alcuni aspetti del momento dell'arresto:
Mio padre era appena tornato dal lavoro, era sera inoltrata, intorno alle nove perchè si recava al lavoro a Milano in bicicletta. Arrivarono alla porta, lo ricordo bene, quattro militi fascisti guidati e comandati da un tedesco delle SS molto giovane ma anche molto duro. Avevano le generalità dell'altro Montrasio dove era evidente la diversa paternità. Il papà protestò con forza evidenziando che lui era figlio di Gerardo, non di quell'altro nome. Alla SS non importava nulla, un Luigi Montrasio doveva prendere e un Luigi Montrasio doveva venire via con lui. Mi aggrappai piangendo alle gambe di mio padre, quasi immobilizzandolo, il rappresentante della razza eletta tedesca mi diede un sonoro calcio nel sedere e dovetti nascondermi sotto il tavolo, avevo solo sette anni. Fu l'ultima volta che vidi mio padre.
Giunto a Mauthausen gli fu attribuita la matricola 59001. Fu anche lui dislocato il 24 marzo a Gusen, in particolare venne assegnato a Gusen II, aperto solo il 9 marzo 1944 per provvedere con i suoi prigionieri allo scavo in località St.Georgen, di uno dei più grandi sistemi sotterranei progettati dai nazisti per impiantarvi i macchinari industriali per la produzione bellica, il B8-Bergkristall-Esche 2 che entrò in produzione alla fine del '44. I prigionieri giornalmente arrivavano stipati su treni merci e spinti a calci e con ogni genere di vessazione nei cantieri. Le condizioni di lavoro erano terribili, tanto che Gusen II fu chiamato "l'inferno degli inferni"; per i lavoratori alla costruzione del Bergkristall, fra i quali annoveriamo Montrasio, la sopravvivenza media era di quattro mesi. Anche Luigi, infatti, morì molto presto, il 19 maggio 1944.
Giancarlo Moretti - Nato il 4 febbraio 1926 a Monza. Celibe, abitava in via Aguilhon 10 e lavorava come operaio aggiustatore alla Falck Concordia Bulloneria. A Mauthausen ebbe la matricola 59003 e, come gli altri, mandato a Gusen il 24 marzo. Qui è segnalato un passaggio al revier, dal quale uscì il 20 maggio per essere occupato alla Steyr. Il giovane deportato monzese fu uno dei pochi operai sopravvissuti alle spaventose condizioni di vita di Gusen. Rientrò in patria il 26 giugno 1945.
Antonio Paleari - Nato l'11 marzo 1924 a Monza. Apprendista operaio alla Breda V. Una sua testimonianza segnala un'azione tipicamente gappista, la soppressione di un poliziotto fascista a Cusano Milanino insieme a Bersan9. Incarcerato dapprima a Monza, fu in seguito trasferito a S.Vittore e tradotto a Fossoli. Deportato a Mauthausen il 21 giugno '44 vi giunse il 24. Sopravvisse a questa terribile esperienza e tornò in patria. Il fratello maggiore Alberto, operaio della Singer e partigiano, fu fucilato in piazza Trento e Trieste a Monza l'8 novembre 1944 con Giuseppe Centemero, capo del distaccamento garibaldino Sap di Arcore.
Di Antonio Paleari non si hanno altre notizie precise; il suo nome è citato nell'elenco dei deportati sopravvissuti della 3º Gap e soprattutto è determinante la testimonianza di un altro gappista, Umberto Diegoli di cui parleremo più avanti che, oltre a citare il suo arresto, ne parla come suo compagno di lavoro negli stabilimenti aeronautici di Wels e Linz e con il quale condivise la fuga il 10 aprile 1945 e il successivo rientro in patria un mese più tardi.
Aldo Pessina - Nato il 24 settembre 1923 a Monza e qui residente in via S.Fruttuoso 2. Falegname. Matricola a S.Vittore 1396. Nel carcere i cinque detenuti di S.Fruttuoso vennero tenuti sempre in cella, potendo uscire solo per l'ora d'aria. A Bolzano ebbe la matricola 9637 e l'internamento nei blocchi D e poi M. Dapprima lavorò con Fossati alla riparazione della linea ferroviaria e poi alla galleria del Virgolo. Fu liberato nel campo centrale di Bolzano.
Angelo Pezzan - Nato a Lendinara in provincia di Rovigo il 28 luglio 1911. Sposato con Adriana Marelli, viveva con lei, la figliastra di dodici anni e le due figlie, una di tre anni e l'altra di pochi mesi, in via Casati 18 a Monza. Pezzan lavorava come operaio specializzato alla Falck Unione. La sua artificiosa scheda per lavoratori coatti segnala, con il solito scambio fra la data di partenza e quella reale di arresto, la custodia ad opera della "SS Germanica". La matricola a Mauthausen fu 59059 e trasferta anche per lui con il gruppo degli scioperanti il 24 marzo a Gusen, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 9 aprile 1945 per consunzione fisica.
Santina Pezzotta - Nata il 17 gennaio 1928 a Brugherio. Residente al quartiere S.Fruttuoso di Monza. Operaia specializzata avvolgitrice alla Magneti Marelli, stabilimento "N" di Crescenzago. Appartenente ad una famiglia decisamente antifascista, tanto che il padre Serafino aveva già subito il confino in Francia ed un arresto in Italia, a Sesto S.Giovanni, per propaganda politica, inoltre fece parte della Resistenza monzese insieme alla figlia Elisa, attiva nella diffusione di stampa clandestina e nel supporto alle famiglie di partigiani arrestati.
Santina nel 1944 aveva dunque solo sedici anni e non s'interessava di politica, come testimonia la stessa sorella Elisa12. Il 16 marzo si trovava a Bergamo per un compito di lavoro affidatogli dal padre e si trovò coinvolta in un rastrellamento fascista, teso probabilmente a procurare manodopera da inviare in Germania. Malgrado una ricerca storica esiga un'esposizione dei fatti rigorosa dal punto di vista documentario e debba lasciare al lettore il giudizio sugli eventi presentati, non è possibile in questo caso esimersi dal proporre una seria riflessione su un arresto di un'adolescente completamente priva di ogni colpa ed esente da qualsiasi capo d'accusa immaginabile e sul suo avvio alla deportazione nei più orribili campi di sterminio predisposti dai nazisti. Le roboanti parole spese nei loro libri di memorie da alcuni reduci della Repubblica sociale italiana in favore dell'onore nazionale e dell'amor patrio in questo caso, che non è unico, vengono visibilmente a perdere di contenuto e di dignità. E' anche questo che il padre di Santina andò ad urlare ai militi della Legione Muti in mano ai quali vide il registro degli arresti con il nome della figlia che intanto era in carcere a Bergamo13. Le proteste non servirono a niente e la famiglia non ebbe più nessuna notizia della ragazza per un anno e mezzo, cioè fino al suo rientro.
Santina era stata deportata a Theresienstadt, dov'era giunta il 27 maggio 1944. Questo campo di concentramento era situato in un territorio attualmente facente parte della Repubblica Ceca ed era soprattutto un luogo di raccolta degli ebrei da sterminare ad Auschwitz. Fu infine trasferita a Ravensbrück dove venne liberata dall'Armata Rossa il 30 aprile 1945. Racconta ancora Elisa Pezzotta che terminata la guerra avvicinava ogni mezzo che rimpatriava deportati per chiedere informazioni sulla sorella. Finalmente una sera ebbero delle notizie favorevoli che alimentavano la speranza; dopo pochi giorni, infatti, Santina tornò. Le privazioni di ogni genere che aveva subito la rendevano irriconoscibile "di una magrezza spettrale e con cicatrici in tutto il corpo". S.Fruttuoso fece una grande, meritata festa all'adolescente che il fascismo si onora di aver sottoposto senza motivo alle più atroci brutalità dei lager del Reich.
Albino Pisoni - Nato l'8 ottobre 1913 a Monza da Evangelista e Luigia Galbiati. Residente in via S.Michele al Carso 10 a Brugherio. Coniugato con quattro figli. Manovale della Breda I sezione. Fu arrestato a Brugherio il 7 agosto 1944, anche in questo caso è la falsa scheda di partenza per lavoratori coatti che ci indica esattamente il giorno e che contiene significative annotazioni, come la dicitura "SS Germanica" che sottolinea il controllo tedesco della sua detenzione e l'espressione "Internato civile. CC Mauthausen" che ne certifica la deportazione e che è molto rara in questi documenti37. Da Milano il recluso fu portato a Bolzano da dove venne deportato nel Reich il 14 dicembre; il 19 dello stesso mese raggiunse Mauthausen dove fu immatricolato con il numero 114066 e schedato anch'esso come internato per motivi di sicurezza. Quasi subito, il 3 gennaio 1945, Pisoni fu trasferito a Melk, uno dei campi satelliti principali aperto nell'aprile del '4438.
Nelle gallerie che i prigionieri avevano scavato in tempi rapidissimi e al prezzo di numerose vite umane nelle località di Roggendorf e Loosdorf, avevano preso posto gli impianti della Steyr-Daimler-Puch A.G per la produzione di cuscinetti a sfera che avevano iniziato a funzionare solo pochi giorni prima della data di arrivo del convoglio di Pisoni. Contemporaneamente i lavori di scavo proseguivano in altre aree per ospitare altri macchinari. Non è dato sapere dove fu impiegato il deportato di Brugherio ma resistette poco alle durissime condizioni di vita di Melk e il 15 febbraio era già deceduto. Alla chiusura del campo, avvenuta il 15 aprile 1945, erano cinquemila gli esseri umani che vi avevano perso la vita.
Giovanni Poli - Nato il 31 dicembre 1903 a Civo, in provincia di Sondrio. Abitava in via Giovanni dalle Bande Nere 210 a Monza. Sposato con Maria Motta, era a capo di una famiglia numerosa composta, oltre che dai due coniugi, anche da cinque figli rispettivamente di 17, 13, 11, 7 e l'ultimo nato di pochi mesi; quattro erano maschi e una femmina. Poli era operaio alla Falck Unione, dove partecipò attivamente già allo sciopero del marzo 1943. Per questo era stato processato il 26 giugno dello stesso anno a Milano, accusato di "aver ostacolato il corso del lavoro, sospendendo arbitrariamente lo stesso per pochi minuti in data 29 marzo. Anche per lui esiste una scheda di partenza per lavoratori coatti con il solito appunto che lo mette a disposizione della "SS Germanica" che ne tradisce invece la deportazione30. La matricola assegnatagli a Mauthausen fu la 59068. Trasferito il fatidico 24 marzo a Gusen, sfortuna nella sfortuna fu destinato a Gusen II, come detto il più orribile dei tre siti del più grande campo dipendente di Mauthausen31. A conferma di quanto quel luogo fosse un mattatoio, anche Poli morì in poco tempo, esattamente il 16 giugno 1944, per essere cremato a Gusen I il giorno dopo.
Pierino Porta - Nato l'8 maggio 1906 a Monza. Residente in via Petrella 15 con la moglie Elisabetta Levati e i due figli, la femmina nata nel 1938 e il maschietto nato nel 1940. Lavorava all'epoca dell'arresto come aggiustatore motorista alla Falck Unione e all'interno della grande ferriera svolgeva attività di propaganda clandestina, esportando e diffondendo gli stampati anche a Monza23. Per questo motivo fu bloccato nella sua casa verso le diciotto del 21 aprile 1944 dalla milizia fascista ed incarcerato a Monza. Il 13 maggio fu trasportato a S.Vittore. L'Upi lo aveva denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato come responsabile, insieme ad altri due operai della Falck, della distribuzione del foglietto clandestino "Prometeo". Lo stesso tribunale condannò il 6 giugno il Porta a sei mesi di carcere e a 250 lire di multa per "...propaganda sovversiva diretta a deprimere il sentimento nazionale mediante divulgazione di manifestini". Una successiva richiesta di grazia inoltrata il 1 luglio al Capo della provincia Piero Parini non venne accolta24. "Prometeo" era la pubblicazione clandestina del Partito comunista internazionalista, organizzazione sorta nell'Italia del nord all'inizio del 1943 per iniziativa di alcuni ex-esponenti del Partito comunista italiano espulsi per la loro adesione ad una posizione rivoluzionaria oltranzista, in aperto contrasto con la tendenza moderata proposta dallo scioglimento della Terza Internazionale. Nel corso del 1944 il partito raggiunse i duemila iscritti, costituendo nei più importanti complessi industriali "gruppi di fabbrica", in contrapposizione alle "commissioni interne" create dal Pci. Prometeo fu stampato in undici numeri clandestini dal 1 novembre 1943 al 15 ottobre 1944; è quindi presumibile l'appartenenza di Porta al Partito comunista internazionalista, considerato che un documento ufficiale lo accusava di diffonderne il proprio organo di stampa.
Per la data e il luogo di deportazione nel volume Streikertransport viene riportato l'11 luglio con destinazione Reichenau, località alla periferia di Innsbruck dove esisteva un piccolo lager che funzionava come campo di transito e dove vigeva comunque la rigida disciplina imposta dalle SS; a Reichenau sostò brevemente il primo convoglio di 25 ebrei italiani provenienti da Merano e diretti ad Auschwitz. Da questo durchgangslager Porta sarebbe evaso il 26 marzo 1945 riuscendo a rientrare in Italia il 30 dello stesso mese. Nel fondo che conserva le schede dei lavoratori coatti, però, è presente quella relativa al deportato in questione che ne definisce quindi la condanna al lavoro obbligatorio in Germania e precisamente nel settore chimico come lavoratore generico. Stabilisce come data di partenza l'8 luglio e la destinazione gli impianti della Eibia di Verden.
Alessandro Pozzi - n. 21.04.1910 Monza. Residente in Via Spalto Isolino, Monza. Già condannato per comunismo nel 1932 al confino. Coniugato con Donzelli Rosa, figli 2. Meccanico all'Isotta Fraschini. Appartenente alla 55ºBrigata "Rosselli", poi passato alla Brigata "Issel". Arrestato in Val Taleggio (Bg). Torturato a Barzio dal maggiore Gatti, indi inviato a Bergamo. Data immatricolazione a S.Vittore 28.11.1944. A Bolzano il 16.01.45. Deportato da Bolzano l'01.02.1945 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 04.04.1945.
Angelo Preda - Nato il 12 ottobre 1917 a Verano Brianza. Residente in via Cairoli a Monza. Preda aveva dato la sua disponibilità a collaborare con il servizio segreto alleato, infatti figurava in organico al 12ºreggimento Genio dell'Intelligence service con il grado di sergente maggiore. Da casa sua tramite un radio ricetrasmittente, inviava notizie sui movimenti tedeschi nel territorio. Fu arrestato a Monza l'11 marzo 1944. Sulla sua cattura vi è una preziosa testimonianza di Ferdinando Calcinati, partigiano monzese arrestato in Valtellina, che con lui condivise la baracca a Bolzano:
...con me c'era Preda di Monza ... l'avevano arrestato perchè gli inglesi gli avevano buttato una radiotrasmittente e lui trasmetteva tutti i movimenti che c'erano a Lambrate. Lo hanno scoperto perchè lui era figlio di un panettiere, di fronte c'era un salumiere fascista che l'ha visto a casa, aveva movimenti sospetti, ha chiamato la milizia e in casa hanno scoperto tutto. Me l'ha raccontato Preda personalmente.
Inizialmente fu imprigionato nel carcere militare di Peschiera del Garda e tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del '44 fu trasferito a Bolzano nel blocco E. Il 12 settembre all'alba Angelo Preda, insieme ad altri 24 militari italiani inviati in missione dal servizio informazioni dell'Italia libera, fu prelevato e fatto salire su un autocarro che portò tutto il gruppo nelle stalle della caserma Mignone. Qui tutti e 25 furono uccisi con un colpo alla nuca.
Carlo Prina - Nato il 28 giugno 1897 a Monza e qui residente in via Zucchi 19. Era sposato con Elena Mauri e aveva tre figlie di 20, 13 e 11 anni. Lavorava come impiegato presso lo stabilimento Motta, desumendo ciò dallo scritto dell'avvocato Oreste Pennati, ricercato come gli altri, che riporta di un suo colloquio nei concitati momenti della retata del 2 marzo con Davide Guarenti, il quale gli comunica che "Prina è già stato prelevato dallo stabilimento Motta".
Carlo Prina era stato uno dei più attivi nell'attività di reclutamento dei giovani renitenti da inviare alle formazioni partigiane della montagna. Dopo l'arresto operato dalla Gnr di Monza e la detenzione nel carcere locale, fu inviato il 20 marzo a S.Vittore e immatricolato con il numero 1734; fu rinchiuso nel I raggio nella cella 10. La scheda di partenza per la Germania per lavoratori "volontari" di sua pertinenza, oltre a riportare come per Guarenti la data del 2 marzo 1944 che conferma il giorno dell'arresto e la scritta "SS Germanica", che ne palesa il passaggio alla custodia tedesca, ha con sè un allegato. Si tratta della copia di un certificato, probabilmente rilasciato alla famiglia, in quanto si conclude con l'avvertenza: "Il presente per ottenere il sussidio". Il testo è del seguente tenore:
Si certifica che il suddetto italiano, nato il 28/6/1897 Monza, abitante in via Zucchi 19, è stato fermato il 2/3/44 e si trova attualmente in Germania.
Il 9 giugno passò a Fossoli. Qui ricevette la matricola 1609, venendo assegnato alla baracca 18 e in luglio alla 16A. Di Carlo Prina ci è giunto un breve scritto indirizzato alla moglie l'11 luglio, il giorno prima di venire ucciso. E' evidente che Prina, come diversi altri, non credeva all'ipotesi avanzata da alcuni, soprattutto dall'interprete del campo, seconda la quale la loro sorte sarebbe stata la fucilazione:
Mio caro tesoro, miei bambini amati, sono le 19 e dall'appello fatto ho appreso che devo partire domattina presto; non sappiamo per dove! Che il buon Dio mi assista! Pregate tanto per me! Vi bacio tanto e vi penso.
Una dichiarazione delle figlie ci fornisce informazioni sugli ultimi momenti dell'antifascista monzese che, quasi certamente, apparteneva al secondo gruppo di giustiziati. La moglie del colonnello Panceri, uno degli uccisi, a fine luglio mostrò alla loro madre un pezzo di stoffa che aveva trovato infilzato sul filo spinato che recintava il poligono di Cibeno. La moglie di Panceri e quella del capitano Kulczicky, infatti, si trovavano a Fossoli nello stesso giorno dell'eccidio e furono le prime ad arrivare nei pressi dell'area della fossa poco dopo che i tedeschi se n'erano andati. La signora Prina riconobbe quel tessuto strappato come appartenente al vestito del marito. Carlo Prina, quindi, aveva partecipato alla colluttazione con le guardie tedesche e aveva cercato di fuggire ma i soldati colpirono anche lui e lo trascinarono nella fossa con gli altri.
Carlo Radaelli - n. 16.03.1923 Monza Attrezzista. Arrestato nel giugno 1944 in Val Taleggio, partigiano della 55ºBrigata Rosselli. Il 05.07.1944 a S.Vittore. Deportato da Milano il 17.08.1944. Deportato da Bolzano il 05.09.1944 a Flossenbürg. m.21.04.1945 a Stamsried. Sepolto al cimitero italiano di Monaco, tomba R6-F7-T31.
Giuseppe Radaelli - Nato il 5 marzo 1905 a Monza e qui residente in via Ariosto 1. Era coniugato con Emma Casiraghi dalla quale aveva avuto due figli che al momento dell'arresto avevano cinque e due anni. Era occupato come operaio manovale gruista alla Breda IV sezione. Radaelli aveva un grado d'istruzione sopra la media per quei tempi, malgrado ciò, a causa delle sue idee politiche contrarie alla dittatura, non potè mai sfruttarlo ai fini di una posizione di lavoro superiore. Anzi, per mantenere dignitosamente la famiglia, si era prestato ad effettuare turni ravvicinati in fabbrica, spesso mangiando e dormendo al suo interno senza tornare a casa. Questo indubbiamente favorì anche dei contatti più frequenti con il movimento antifascista del suo reparto, al quale diede il suo apporto. Dopo l'arresto in seguito allo sciopero del marzo '44, anche lui fu imprigionato nella caserma Umberto I di Bergamo. Molti operai detenuti in quei giorni, non potendo comunicare con i familiari perchè era loro vietato, lanciarono dai finestroni delle camerate dei biglietti che gli abitanti dei dintorni spesso riuscirono a recapitare alle famiglie di appartenenza. Sono giunti a noi due messaggi che la moglie di Radaelli riuscì a ricevere con queste modalità. Nel primo Giuseppe scrive:
Mio padre era appena tornato dal lavoro, era sera inoltrata, intorno alle nove perchè si recava al lavoro a Milano in bicicletta. Arrivarono alla porta, lo ricordo bene, quattro militi fascisti guidati e comandati da un tedesco delle SS molto giovane ma anche molto duro. Avevano le generalità dell'altro Montrasio dove era evidente la diversa paternità. Il papà protestò con forza evidenziando che lui era figlio di Gerardo, non di quell'altro nome. Alla SS non importava nulla, un Luigi Montrasio doveva prendere e un Luigi Montrasio doveva venire via con lui. Mi aggrappai piangendo alle gambe di mio padre, quasi immobilizzandolo, il rappresentante della razza eletta tedesca mi diede un sonoro calcio nel sedere e dovetti nascondermi sotto il tavolo, avevo solo sette anni. Fu l'ultima volta che vidi mio padre.Per favore spedite questo biglietto a Radaelli Emma - via Ariosto 1 - Monza. Cara Emma sono a disposizione del Comando Germanico ti raccomando i bambini di tenerli in cura. Manda Bramati a prendere le medicine alla Fondazione R.G. Pompieri 2. Ti manderò le chiavi del credenzino dello stabilimento per prendere la mia roba.
Il secondo verrà recapitato quando il convoglio dei deportati sarà già partito:
Mi trovo a Bergamo presso la Caserma Umberto Primo. Guarda se puoi mandare Luigi qua a Bergamo con la valigetta contenente sapone, asciugatoi e da mangiare (pettine soldi calze fazzoletti e basta non di più). Emma ti raccomando i bambini. Vieni subito perchè siamo prossimi alla partenza.
La disposizione in favore del Comando Germanico è confermata dalla scheda di partenza con l'annotazione a macchina simile agli altri operai deportati: "SS Germanica"34. A Mauthausen, matricola 59083, subì lo stesso trattamento e la stessa destinazione degli altri operai: Gusen. E' ancora questo tragico lager a determinare la morte di un altro deportato brianzolo; Giuseppe Radaelli perì il 28 dicembre 1944.
Virginio Radaelli - Nato ad Arcore il 5 ottobre 1905. Residente a Monza dal 1936 in via Aliprandi 1. Svolgeva l'attività di meccanico. Fu arrestato a Monza il 27 febbraio 1944, condotto il giorno dopo a S.Vittore e da qui trasferito a Fossoli il 7 marzo. La sua matricola a Mauthausen lo fa appartenere anch'esso al convoglio dell'8 marzo giunto al lager l'11 marzo. Mandato a lavorare a Gusen, perì il 22 aprile 1945 nel grande massacro perpetrato quel giorno nelle camere a gas del campo.
Matteoldani Rizzardi - Nato l'8 luglio 1924 a Monza. Il suo singolare nome proprio deriva dall'unione dell'abbreviazione di Matteotti e di Oldani, un patriota antifascista della prima ora; tutto questo testimonia l'appartenenza ad una famiglia dal solido antifascismo. Lavorava come operaio tranciatore alla Breda V. Il fratello Giuseppe, internato militare in Germania, scrisse nel 1999 un pregevole diario delle vicende familiari durante il periodo bellico, nel quale è contenuta una testimonianza di Antonio Paleari sull'attività resistenziale di Matteo.
Partecipò a numerose azioni di propaganda con affissioni di manifestini, a prelievi di benzina a favore della Gap. Partecipò anche ad un arduo trasporto d'armi da Monza a Muggiò. In questa occasione furono trasportati venti mitra e due mitragliere pesanti che furono consegnate al compagno Michele Robecchi. Diede alloggio a prigionieri russi e li accompagnò a Milano, dove li affidò a un compagno per essere avviati in montagna.
Nelle fasi convulse dell'arresto tentò la fuga venendo leggermente ferito; i fascisti seguirono le tracce di sangue fino a trovarlo dentro ad un portone. Dopo una breve permanenza in ospedale fu inviato il 27 aprile al durchgangslager di Fossoli, dal quale rassicurava in più riprese la madre sulle condizioni della sua gamba ferita.
Non devi stare in pensiero per me, perchè la mia salute è di ferro e la gamba è guarita, però ora non devi venire più perchè il viaggio è pericoloso... Sono molto contento nel sapere che tutte le domeniche vai dalla mamma di Bersan e la moglie di Fumagalli, quando vai da loro salutale per me , così pure la signora Colombo e il padre di Paleari ...
Mamma cara io sto sempre bene e la gamba è guarita, adopero il bastone tanto per sicurezza, ma potrei benissimo lasciarlo da parte, non avendo fatto la meccanica il piede si gonfia un poco a camminare, ma col tempo anche questo passerà.
Nel fondo "Uffici milanesi dell'assistenza post-bellica" dell'Archivio di Stato di Milano, nel quale sono conservate le schede di partenza e d'ingaggio dei lavoratori coatti di cui tratteremo in maniera più approfondita nel capitolo ad essi dedicato, sono presenti di Rizzardi due schede distinte. Come già detto per Bersan, queste schede sono false e vogliono mimetizzare una deportazione. Nella prima è interessante rilevare come la data di partenza coincida invece con quella di arresto, il 5 gennaio 1944, e inoltre l'annotazione "Internato a Carpi", è una traccia del suo trasferimento a Fossoli che si trova infatti vicino alla cittadina modenese. Nel secondo documento si legge invece un appunto dell'"Ufficio protocollo di Carpi" che ne indica la partenza dal campo: "Partito per la Germania luglio 1944". In realtà si trattava del trasferimento da Fossoli a Bolzano del 21 luglio 1944. Il calendario della sua deportazione è quindi perfettamente sovrapponibile a quello di Bersan, con la successiva partenza per Mauthausen il 5 agosto e l'arrivo dopo due giorni di viaggio nei carri bestiame. Fu immatricolato con il numero 82498 e anch'esso classificato come schutz; dichiarò di essere meccanico di automobili. In data sconosciuta fu trasferito a Gusen dove morì il 13 febbraio 1945; il suo nome è riportato nel Mauthausen totenbuch.
Dante Rosa - n.11.02.1912 Monza. Residente Sesto S.Giovanni (Mi). Arrestato 14.03.1944 a casa per partecipazione agli scioperi. Operaio elettricista Pirelli; m. 26.03.1945 Mauthausen.
Guelfo Rossi - n. 03.10.1926 Monza. Residente a Monza in via Amati 12. Operaio meccanico Breda 5. Arrestato a Sondrio il 02.10.1944. Entrato a S.Vittore 11.12.1944. Deportato da Milano il 21.12.1944. Deportato da Bolzano l'01.02.1945 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 20.04.1945.
Alessandro Rovelli - Nato il 13 marzo 1902 a Monza e qui residente in via Gaetano Casati 281. Celibe, lavorava come tornitore alla Falck Unione Oman. Deportato a Mauthausen ricevette la matricola 61745 e fu molto presto inviato a Gusen. Lavorò nello scavo delle gallerie di Gusen II, uno dei luoghi dove più alta fu la mortalità dei prigionieri dei lager. Anche Alessandro Rovelli, infatti, vi morì il 23 gennaio 1945.
Augusto Sala - Nato il 20 settembre 1906 a Monza. Era domiciliato in via Cenisio 12, sempre a Monza, con la moglie Maria Paleari e i due figli. Il suo lavoro era di saldatore autogeno alla Falck Vittoria. Anche per lui è conservata una scheda di partenza per lavoratori che, come per tutti gli altri, è priva di qualsiasi dato personale o riferimento ad un inesistente ufficio di collocamento ma riporta invece l'annotazione "SS Germanica". A Mauthausen gli fu assegnata la matricola 61747 ma il suo destino non era fra i campi satelliti di questo lager ma fra quelli di una altro centro di sterminio, l'indotto di Flossenbürg. Sala fu infatti decentrato il 4 novembre con arrivo il 7 a Zschachwitz, dove fu nuovamente immatricolato con il numero 35537. Risulterebbe deceduto il 27 aprile 1945 in luogo non noto fra Zschachwitz e Flossenbürg, il che fa pensare ad un crollo durante una "marcia della morte" partita dal campo secondario per raggiungere quello principale. Ma un altro dato va tenuto in considerazione; nel 1966 Radio Praga trasmise in lingua italiana un servizio a puntate sul già citato progetto Richard, la fabbrica sotterranea voluta dai nazisti presso Leitmeritz, poi divenuta Litomerice essendo ritornata la cittadina in territorio cecoslovacco. Al termine di ogni trasmissione venivano letti gli elenchi compilati dai tedeschi dei lavoratori italiani impiegati nelle gallerie; in una di queste liste venne citato il nome di Augusto Sala, matricola 35537, nato il 20 settembre 1906, oltre a quello già riferito di Attilio Tinelli di Lesmo.
Giacomo Sala - Nato il 16 aprile 1895 ad Agrate Brianza alla cascina Trivulzina nella frazione di Omate. Si era sposato nel 1926 con Rosa Tranquilla Mauri e nel 1936 si era risposato con Rosa Giachi, con la quale abitava in via Bergamo 7 a Monza assieme ad una figlia di quattro anni.
Lavorava come operaio specializzato rifilatore alla Breda sezione I. Anche per lui l'arresto avvenne in casa e di notte. A Mauthausen fu la matricola 59116 e in seguito fu trasferito a Gusen. Morì proprio a Gusen l'1 febbraio 1945.
Carlo Samiolo - Nato il 7 marzo 1895 a Guarda Veneta, in provincia di Rovigo. Viveva a Monza in via Volta7, con la moglie Giuseppina Bergomi e i loro sei figli. Aveva raggiunto una buona posizione all'interno della Breda, divenendo il capo dell'ufficio del personale della sezione V. Samiolo fu arrestato l'8 marzo 1944 insieme agli ingegneri Ezio Margotti e Ivan Massini, tutti si erano rifiutati di fare i nomi dei responsabili della proclamazione dello sciopero e per questo i nazifascisti li considerarono loro complici. Uno dei figli, Gianluigi, ha lasciato questa interpretazione dei fatti:
Non era iscritto a nessun partito clandestino, era un antifascista generico. La sezione in cui lavorava mio padre era un centro fortemente antifascista; il responsabile amministrativo e superiore di mio padre era l'ingegner Vezzani, anche lui deportato a Mauthausen. Chi dirigeva tutta la sezione era però l'ingegner Vallerani, finito nel campo di Fossoli e poi di Bolzano. Alle dipendenze di mio padre c'erano circa 80 impiegati, tra uomini e donne, e io credo che proprio uno di questi, uomo di fiducia di mio padre sul lavoro, sia stato il responsabile del suo arresto, era un delatore.
Sul momento effettivo della cattura, abbiamo il racconto dell'altro figlio, Giorgio:
Un sabato pomeriggio vengono delle persone a chiamare mio padre Carlo dicendogli che hanno bisogno di lui alla Breda. Mio padre va, accompagnato da un mio cugino. Alla sera verso le 21 sentiamo arrivare una macchina sotto casa, c'era il coprifuoco, era completamente buio, la macchina aveva i fanali con due striscette bianche per far passare un filo di luce. Sono scesi in tre, hanno tentato di spingere il cancello pesante d'entrata. Mia madre è andata alla finestra per sapere chi cercassero e loro risposero che cercavano Samiolo. Mia madre ha risposto che era stato chiamato nel pomeriggio alla Breda. Loro sono venuti lo stesso in casa, hanno guardato in giro, non hanno toccato niente e poi se ne sono andati.
Dopo una permanenza di un mese e mezzo a S.Vittore, il dirigente della Breda il 27 aprile 1944 fu spostato a Fossoli. Ancora Giorgio Samiolo rammenta di:
...essere andato a Fossoli, davanti al campo c'era un cartello "Non fermarsi, si spara senza preavviso". Io inavvertitamente mi sono fermato per vedere o per capire qualcosa ed è subito partita una fucilata; per mia fortuna la mira non era precisa.
Il 22 luglio suo padre fece parte della colonna di internati che da quella località fu trasferita nel nuovo "campo di polizia e transito" di Bolzano; qui Carlo Samiolo non rimase molto: il 5 agosto fu deportato a Mauthausen, dove arrivò il 7 e fu immatricolato con la serie 82511. Anche per lui, le terribili condizioni di vita del lager di Gusen furono una prova impossibile da superare; la sua fine, datata 22 aprile 1945, è testimoniata dal deportato milanese Franco Orsi:
E' mio doloroso dovere comunicarvi che il caro compagno di sofferenze è stato assassinato nella notte dal 21 al 22 aprile 1945 nel campo di Gusen I. Dopo alcuni mesi di lavoro alle cave di granito era passato a lavorare alla Steyr e infine in marzo per le sue miserevoli condizioni fisiche, al blocco 24 degli invalidi. Il giorno 21 aprile, con la scusa di una visita medica, venne mandato con altri 400 del blocco 24, al blocco 31 dell'infermeria, nel quale venne immesso dell'acido cianidrico, per cui tutti rimasero asfissiati. In quella notte e in quella successiva più di 7500 uomini morirono a Gusen e Mauthausen.
Giuseppe Santamaria - Nato il 27 agosto 1891 a Monza e qui residente in via Oriani 6. Coniugato con Adele Agnatica dalla quale ebbe un figlio nel 1930. Svolgeva l'attività di operaio aggiustatore alla Breda V. Fu arrestato per antifascismo il 14 febbraio 1944 a Sesto S.Giovanni e rinchiuso a S.Vittore. Inviato in seguito a Fossoli, fu da questo campo deportato l'8 marzo a Mauthausen, dove giunse tre giorni dopo. Immatricolato con il numero 57393, fu classificato come schutz e spostato a Gusen il 24 marzo. Nel sottocampo dove morirono tanti italiani, è segnalato un suo passaggio al revier l'8 settembre 1944. Fame e maltrattamenti lo condussero a morte all'alba del 3 marzo 19454.
Mario Scuratti - Nato il 9 febbraio 1926 a Muggiò. Residente in via Lombardia a Monza. Lavorava alla Sapsa Pirelli di Sesto S.Giovanni come operaio meccanico. In quanto appartenente al primo semestre del 1926, la sua classe era stata richiamata per la formazione dell'esercito repubblichino, si era così dato alla clandestinità entrando a far parte delle formazioni partigiane di Monza S.Fruttuoso. Anche lui venne catturato a casa, malgrado dormisse per cautela in alcuni locali adibiti a magazzino. Dopo una breve sosta alle scuole del quartiere, base delle formazioni fasciste del luogo, anche per Scuratti era previsto il trasporto in via Grossi. L'interrogatorio fu mirato al riconoscimento di alcuni partigiani riprodotti in fotografia come i fratelli Carpani, anime della Resistenza a S.Fruttuoso e ormai già trasferitisi in Valsesia nelle formazioni di Moscatelli.
La sera stessa fu rinchiuso nelle carceri di Monza. A S.Vittore la matricola era la 1395. A Bolzano la 9643, blocco D. Dopo poco tempo dall'arrivo nel campo:
...Era di mattino, ci hanno caricato sui camion... ci avevano caricato sui carri bestiame, dovevamo essere in molti perchè ricordo che eravamo stipati in modo bestiale ... siamo stati nei vagoni piombati per due giorni, alla stazione. Faceva un gran freddo. E una sete. Cominciavamo a fare i nostri bisogni là dentro...
Dopo due giorni in queste condizioni i prigionieri vennero fatti scendere, la linea ferroviaria era stravolta dalle bombe alleate. Il campo centrale però traboccava di gente per cui molti internati furono inviati nei campi satelliti. Scuratti fu destinato a Sarentino dove venne impiegato a spaccare le pietre del torrente Talvera, da utilizzarsi per la costruzione di un depuratore per l'acqua potabile che doveva servire alle gallerie in via di scavo; i tunnel dovevano avere la funzione di protezione per alcuni impianti industriali. Non fu vita facile perchè per un lavoro così pesante, l'alimentazione era costituita solo da una zuppa d'orzo e da un pezzo di pane nero a volte accompagnato da un velo di margarina. Inoltre, le guardie non andavano per il sottile, distribuendo nerbate se il lavoro non procedeva con una certa celerità.
Fu a Sarentino che il partigiano brianzolo venne liberato il 1 maggio 1945; arrivò a S.Fruttuoso solo il giorno 9 dopo un lungo e rocambolesco viaggio.
Giuseppe Serughetti - Nato il 1 ottobre 1921 a Grumello al Monte (Bergamo) e residente a Monza in via S.Fruttuoso 647. Operaio meccanico alla Pirelli. Matricola a S.Vittore 1394. Matricola a Bolzano 9645, blocco D7. Serughetti nella sua reclusione a Bolzano, seguì gli stessi spostamenti di Mario Scuratti, compresa la mancata deportazione a Mauthausen. A Sarentino fu protagonista di un fallito tentativo d'evasione che fu punito con l'incatenazione al palo per tutta una notte, senza mangiare per un giorno. Fu Scuratti, di nascosto di notte, a portargli qualcosa. Anche lui, però, riuscì a superare queste difficoltà e a rientrare a Monza.
Angelo Signorelli - Nato il 17 agosto 1926 a Grumello al Monte in provincia di Bergamo. Residente a Monza in via Bengasi 4, oggi divenuta via S.Alessandro. Svolgeva l'attività di operaio modellista per fusioni alla Falck Unione Famo. Fu l'operaio deportato più giovane del gruppo con i suoi diciassette anni. Matricola a Mauthausen: 59141. Lavorò alla costruzione di Gusen II e nella cava di Gusen I dove si scavava sempre, in qualsiasi condizione metereologica, e nessuno aveva mai resistito per più di tre mesi. Signorelli, con altri italiani coetanei, venne salvato dallo schreiber della cava, il contabile o segretario, che una mattina nel conteggiare i deportati che si accingevano al lavoro estrasse tutti quelli sotto i diciotto anni, dichiarando che erano troppo giovani per essere impiegati alla cava. Il gruppo dei ragazzi fu così utilizzato per i lavori di giardinaggio attorno alle residenze delle SS e dei soldati della Wehrmacht di Gusen; il nemico numero uno continuava però ad essere la fame. Anche per la denutrizione Angelo Signorelli fu colpito dalla diarrea che, in genere, nei lager conduceva quasi sempre a morte. Fu ricoverato nel revier e per sua fortuna dopo una settimana ne uscì guarito. Durante la sua permanenza a Gusen passò ancora altre due volte dall'infermeria riuscendo sempre a cavarsela. Fu poi adibito al Kartoffelkommando, il gruppo di prigionieri adibito al lavoro pesante di scarico delle patate dai vagoni merci e al loro stoccaggio nelle buche da loro stessi scavate; venne in seguito comandato per altri faticosi lavori agricoli. Sopravvisse alla fine del nazismo e dei campi di sterminio e, per poco, non andò ad infoltire la massa dei deportati morti dopo la liberazione a causa delle condizioni estreme a cui era giunto. Passò parecchi giorni in un ospedale da campo americano in stato d'incoscienza; i medici gli salvarono la vita con la penicillina.
Il libro che racconta la sua storia di deportazione A Gusen il mio nome è diventato un numero pubblicato nel 1985 a cura della sezione Aned di Sesto S.Giovanni e Monza, rappresenta la testimonianza più dettagliata e toccante della sorte non solo sua ma di tutto il gruppo degli operai monzesi arrestati il 12 marzo; il testo è presente in gran parte delle biblioteche brianzole ed è auspicabile, per chiunque, la sua lettura per conoscere ancora meglio il vero significato della parola "deportazione" e come questa sia stata pesante e presente anche nel territorio della Brianza.
Giuseppe Signorelli - Nato il 26 gennaio 1925 a Grumello al Monte, provincia di Bergamo. Risiedeva all'epoca dell'arresto con i genitori, il fratello Angelo e un altro fratello e una sorella in via Bengasi 4 a Monza. Celibe, lavorava come operaio meccanico tornitore alla Falck Concordia Bulloneria. La notte del 12 marzo fu catturato in casa insieme ad Angelo che non gli riuscì di convincere a fuggire, da fascisti in borghese che pochi attimi prima avevano preso Angelo Beretta, amico e vicino di casa dei Signorelli. Come per altri deportati di questo gruppo, la falsa scheda di partenza segnala sempre la stessa cosa: "SS Germanica", la "proprietà" del prigioniero era loro36. A Mauthausen gli venne attribuita la matricola 59142 e, sebbene seguisse gli altri operai nel trasferimento del 24 marzo a Gusen, Giuseppe Signorelli ebbe successivamente altri cinque spostamenti. Il primo lo condusse a Wien Schwechat e lo separò dal fratello che non rivide più fino alla liberazione dei campi che facevano parte del sistema di Mauthausen. In questo sottocampo lavorò come tornitore per la produzione di guerra. Il 26 giugno 1944 fu inviato al lavoro nelle grotte di Mödling dove rimarrà dieci mesi; in questo luogo era stato prosciugato con un'opera colossale un lago sotterraneo per far posto alle installazioni adibite alla produzione del primo caccia a reazione Heinkel He 162. Un altro cambiamento, dovuto all'abbandono per l'arrivo degli Alleati del campo di Hinterbrühl dove erano rinchiusi i prigionieri che lavoravano a Mödling, lo portò il 7 aprile a Steyr e poi di nuovo a Mauthausen. Il trasferimento da Hinterbrühl a Mauthausen fu una delle tante "marce della morte" di quei giorni finali del Reich nazista; Giuseppe, già in condizioni di estrema debolezza, fu azzannato alla caviglia da un cane lupo delle SS che scortavano la colonna, cosa che gli procurò un'infezione molto grave. Riuscì a raggiungere il campo centrale solo con l'aiuto dei compagni che lo sorressero fino alla meta. Dopo la liberazione del campo potè essere curato e riuscì a far visita al fratello ricoverato in ospedale che, in preda alla forte febbre, non lo riconobbe. Si rividero a casa, a Monza, fra i loro genitori.
Luigi Sirtori - Nato l'8 ottobre 1911 a Monza e residente sempre a Monza in via Bezzecca 2. Coniugato con Enrica Mandelli, lavorava come fabbro alla Breda sezione II. Fu arrestato il 3 marzo in casa, di notte e portato a S.Vittore. Esiste una ingannevole scheda per lavoratori coatti in cui si legge però la verità: "Deportato SS Germanica"16. Dopo circa un mese di detenzione nel carcere milanese fu inserito nel gruppo di prigionieri inviati a Mauthausen il 6 aprile, con un convoglio che probabilmente a Milano si compose con i tronconi provenienti da Bergamo e da Fossoli. Il treno giunse nel campo austriaco l'8 aprile e Sirtori ricevette la matricola 61754, schutz, prima di essere mandato a Linz per poi tornare a Mauthausen e finire quindi a Ebensee, dove il 19 febbraio 1945 trovò la morte per "esaurimento fisico"18. L'operaio brianzolo risulterebbe sepolto nel cimitero di Ebensee Friedhof dove da una fossa comune del campo di Ebensee furono trasferiti e ricomposti i resti dei deportati uccisi.
Giovanni Sperandio - Nato Il 3 marzo 1920 a Monza. Abitava in via Monti e Tognetti 11 e non era sposato. Svolgeva il lavoro di fattorino alla Falck Unione Oman. La scheda di partenza riporta la scritta "SS Germanica"38. La sua matricola a Mauthausen era la 59153. Dopo la prima dislocazione a Gusen, rientrò a Mauthausen il 26 aprile 1944 per poi essere destinato a Ebensee il 24 luglio. Sperandio riuscì a sopravvivere alle disastrose condizioni di vita del campo austriaco e ai maltrattamenti delle SS e dei kapò; rientrò così in Italia il 26 luglio 1945. Fu però subito ricoverato in sanatorio per aver contratto la tubercolosi a causa dell'impossibile situazione igienica che si era venuta a creare a Ebensee.
Alvaro Terzi - Nato il 15 luglio 1927 a Monza, qui residente a S.Maddalena e secondogenito di una schiera di sette fratelli. Lavorava alla Breda I sezione come calderaio battimazza e nel 1943 s'iscrisse al Partito comunista clandestino; iniziò quindi in fabbrica e fuori a partecipare attivamente alle azioni propagandistiche delle cellule partigiane, come le iscrizioni murali e i volantinaggi. All'inizio di gennaio del 1944 faceva parte del piccolo gruppo che ebbe l'incarico di far saltare la cabina elettrica della sezione "Fucine" con un'operazione notturna. La sorveglianza, però, li scoprì e i sabotatori furono costretti a fuggire. Terzi raggiunse Monza a piedi e in zona S.Rocco entrò nel fiume Lambro per far perdere le proprie tracce, camminando nell'acqua gelida fino a casa. Dopo questi avvenimenti il ragazzo decise di non rientrare più alla Breda dove sarebbe stato facilmente individuato; si diede quindi alla macchia ma dopo solo una decina di giorni, il 30 gennaio, venne sorpreso in casa di notte e portato immediatamente a S.Vittore. Nel carcere milanese fu interrogato e picchiato, ma non rivelò i nomi dei suoi contatti alla Breda e a Monza. Rimase in cella fino al 14 marzo quando fu inviato a Bergamo e aggregato al gruppo degli operai arrestati dopo il grande sciopero del marzo del '44; il giorno 17 fu caricato sui vagoni merci che raggiunsero Mauthausen il 20 marzo, al momento della deportazione non aveva ancora compiuto i diciassette anni.
Sui vagoni si era tentato di vedere di scappare ma gli altri non volevano perchè avevano paura delle ritorsioni, cioè i nazisti avrebbero fucilato gli altri. Credo però che in qualche vagone sia stata tentata la fuga perchè ogni tanto sentivamo gridare fuori o nelle gallerie.
La permanenza a Mauthausen fu breve, praticamente solo il tempo necessario per la rituale quarantena alla quale erano sottoposti tutti i nuovi arrivati. Non era questa una misura sanitaria precauzionale, ma in pratica il processo accelerato d'inserimento nel clima del campo attraverso la spersonalizzazione fisica e morale, i primi maltrattamenti e le bastonature per presentare così la disciplina del lager. Gli venne assegnata la matricola 59166.
Non avevi più un nome, non avevi più niente. Eri un numero. Per forza l'ho dovuto imparare il mio numero e alla svelta. Se ti chiamavano e non rispondevi erano botte. Lo so quasi più in tedesco che in italiano.Non mi va più via dalla testa.
Il 24 marzo insieme ad altri italiani Alvaro Terzi fu avviato verso Gusen.
Ci hanno trasferiti, a piedi, a Gusen. Qui abbiamo costruito il lager di Gusen II. Tutto lavoro di sterramento, spostamento di materiale e sassi. Poi ho lavorato in cava per dieci-quindici giorni. Infine sono andato a lavorare nelle gallerie di Gusen I. Qui si riempivano i vagonetti di terra e si portavano fuori per scaricarli. Si costruivano le gallerie per mettere dentro le officine, sottoterra.
Proprio nel marzo del '44 erano cominciati i lavori per l'erezione degli impianti di Gusen II (St.Georgen). La cava a cui Terzi fa riferimento è quella di Kasthofer, mentre le gallerie erano quelle gigantesche che avrebbero ospitato gli impianti della Steyr, della Daimler-Puch e della Messerschmitt. Forse la giovane età lo aiutò anche moralmente a superare tutte queste terribili prove alle quali non avevano resistito migliaia di deportati; il 5 maggio 1945 le SS sparirono dal campo e dopo pochi giorni arrivarono gli americani. Non prima di essere stato rimesso fisicamente in sesto, Alvaro Terzi venne rimpatriato; ripercorse in treno il tragitto dell'andata: Linz, Innsbruck, il Brennero e Bolzano, questa volta però, libero.
Da Bolzano, con i camion, ci hanno portato a Milano. Io sono saltato giù in largo Mazzini a Monza, indossavo ancora i pantaloni tedeschi. Tutti mi guardavano, ero un filo, pesavo poco più di trenta chili. Era il 29 giugno 1945. Ho fatto a Gusen più di tredici mesi e tra arresto e arrivo a casa quasi diciassette mesi.
La deportazione lascerà il segno sul fisico del giovane monzese e per molti anni Alvaro Terzi combatterà negli ospedali insieme ai medici per riacquistare una vita normale.
Ambrogio Tremolada - Nato il 2 febbraio 1907 a Pessano con Bornago. Abitava in via Fossati 9 a Monza con la moglie Maria Pennati e un figlio di otto anni. Lavorava come operaio gruista alla Falck Unione Acci. La sua matricola a Mauthausen era la 61766. Il 26 aprile 1944 fu trasferito a Gusen. Morì a Gusen II il 22 febbraio 1945.
Ermanno Tronci - n. 20.11.1909 Milano. Residente a Monza. Ufficiale dei carristi. Arrestato a Milano il 31.07.1944. Collaboratore dell'avvocato antifascista liberale Luciano Elmo nella cui casa fu catturato. Deportato da Milano il 07.09.1944. Deportato da Bolzano il 05.10.1944 a Dachau. Deceduto a Muldhof l'01.04.1945.
Giovanna Valtolina - Nata il 18 marzo 1902 a Merate, nella frazione di Novate Brianza e residente a Monza in via Vittorio Emanuele 45. Coniugata con figli era stata assunta come operaia meccanica alla Breda V sezione il 21 giugno del 1940. Dopo essere stata licenziata il 10 settembre 1941 fu riassunta il 18 gennaio 1943 come operaia addetta ai seghetti9. La sua vicenda è parallela a quella di Rosa Beretta; infatti anche Giovanna Valtolina fu arrestata il 12 marzo 1944 di notte in casa nella stessa retata che portò in carcere tanti scioperanti delle grandi fabbriche del milanese. Incarcerata a S.Vittore fu anch'essa passata sotto la custodia tedesca, infatti la sua matricola, 1670, è di poco più alta della collega della Breda10. Dopo il trasloco a Bergamo nella caserma Umberto I, anche lei fu incorporata nel trasporto del 5 aprile per Mauthausen. Da qui ancora in compagnia di Rosa Beretta a Vienna e ad Auschwitz il 2 maggio, dove fu sistemata nello stesso campo e baracca; la sua matricola 81295 è di soli due numeri più alta della compagna monzese.
Il nuovo trasferimento a Ravensbrück impose la nuova matricola 73454. Sembra che le loro sorti si divisero quando la Valtolina fu mandata a Chemnitz, probabilmente nella stessa fabbrica di materiale bellico ed esplosivi situata in un grande palazzo, come riferisce la deportata Ines Gerosa di Cinisello Balsamo, dove lavoravano donne di diverse nazionalità.
Giovanna Valtolina sopravvisse alla deportazione e nell'ottobre del 1945 fu già riassunta dalla Breda con altre mansioni.
Glauco Vilasco - Nato il 2 novembre 1925 a Monza. Residente in via Buonarroti 9939. Svolgeva l'attività di operaio meccanico presso la Falck Unione Forgia. La sua matricola a Mauthausen fu il numero di serie 59195. Dopo il trasferimento a Gusen, fu mandato il 16 aprile a Wien Schwechat e poi a Wien Floridsdorf da dove rientrò l'8 aprile 1945 a Mauthausen40. Vilasco perì il 24 aprile 1945 nella strage perpetrata dalle SS in cui abbiamo visto cadere anche il partigiano comasco Grazioso Rigamonti. Come deterrente per una temuta ribellione o per ordini superiori, dal 21 al 24 aprile le guardie tedesche giustiziarono 472 detenuti fra i quali 84 italiani. Le prove dell'eccidio sono quattro elenchi sui quali sono riportati i nomi degli assassinati. In quello del 24 aprile che contiene le generalità di 128 uomini, al numero 79 compare il nome di Glauco Vilasco con relativo numero di matricola.
Giuseppe Vismara - Nato il 22 gennaio 1909 a Triuggio. Residente a Monza. Celibe. Apparteneva ad una famiglia dall'antifascismo antico e radicato, coinvolta interamente nella Resistenza. La stessa sorella Maria, operaia della Breda, divenne staffetta prima presso le formazioni della montagna e poi della 108º Brigata sap Garibaldi. Giuseppe partecipò attivamente agli scioperi del marzo del '44 nella fabbrica dove lavorava, la Hensenberger di Monza; fu arrestato quasi subito il 1 marzo insieme a Valentino Rivolta, entrambi accusati di sabotaggio. Vismara era stato incolpato di avere tolto la corrente alla fabbrica all'inizio dello sciopero. Fu arrestato in casa, di pomeriggio e condotto alla Villa Reale e poi al carcere di Monza7. Dopo una breve sosta a S.Vittore fu caricato anche lui sul convoglio partito il 4 marzo e arrivato con Rivolta il 13 a Mauthausen dopo aver effettuato una sosta di circa dieci giorni a Reichenau. Fu immatricolato con il numero 57636, schutz, e trasferito prima a Wien Schwechat, poi il 13 luglio nell'altro campo secondario di Wien Floridsdorf e quindi di nuovo ricondotto a Mauthausen il 2 settembre 1944. Giuseppe Vismara morì nel campo centrale il 30 ottobre 1944, alle ore 7.15 secondo la scheda Sir Arolsen.
Angelo Zampieri - Nato il 26 giugno 1908 a Guarda Veneta, in provincia di Rovigo. Viveva in via Morelli 2 a Monza, con la moglie Francesca Terenghi e i tre figli di 12, 9 e 1 anno. Era dipendente della Breda sezione V, dov'era impiegato come operaio capo squadra nella sezione staccata della Taccona di Muggiò. Zampieri era il punto di riferimento della resistenza di fabbrica in questa sede periferica della grande industria metalmeccanica. Durante lo sciopero fu lui a dare il via alla protesta e al blocco dei macchinari. Quando la notte del 12 marzo gli agenti vennero a prelevarlo, fece in tempo a nascondere la lista dei nomi dei beneficiari del Soccorso Rosso sotto la maglietta del figlioletto42. Fu messo a disposizione della "SS Germanica" come gli altri monzesi arrestati in quei frangenti. La matricola a Mauthausen fu 59204; la sua permanenza a Gusen fu breve, già il 16 aprile venne inviato a Wien Floridsdorf per ritornare il 2 settembre a Mauthausen, dove morì l'1 novembre 1944.
EBREI
Alessandro Colombo - Nato il 17 dicembre 1875 a Pitigliano, in provincia di Grosseto. Di lui abbiamo a lungo parlato in precedenza, essendo un ebreo dimorante a Monza da lungo tempo e quindi fra i pochi presenti al censimento del 1938. Insieme alla moglie Ilda si era trasferito a Milano dopo l'8 settembre, contando sul fatto di non essere conosciuto come ebreo nella grande città e quindi di passare inosservato. Il 6 novembre 1943 ebbe l'idea di tornare nella sua abitazione di Monza per recuperare degli effetti personali; fu notato da un vicino di casa e denunciato ai carabinieri che subito accorsero arrestandolo, quindi ancor prima dell'ordinanza del 30 novembre. Fu condotto alle carceri di Monza e subito dopo a S.Vittore. Colombo, insieme alla moglie, fu quindi il primo ebreo deportato dalla Brianza milanese, in quanto fece parte del primo trasporto per Auschwitz partito da Milano il 6 dicembre 1943. Uno dei pochissimi superstiti di quel convoglio raccontò che ancora nel carcere il mattino della partenza, i tedeschi avevano fatto loro un discorso tranquillizzante, dicendo che sarebbero stati trasferiti in Germania a lavorare e di portarsi pure i propri bagagli. Dissero anche, però, di non tentare la fuga perchè per ogni fuggitivo dieci compagni sarebbero stati fucilati. Gli ebrei furono infine caricati sui camion e condotti alla stazione Centrale. Il treno arrivò sui binari di Auschwitz l'11 dicembre 1943, dopo un viaggio da incubo per i deportati, schiacciati uno accanto all'altro, senza bere e con pochissimo da mangiare, il freddo dell'inverno dell'Europa orientale faceva il resto. Scaricati brutalmente dai vagoni, gli ebrei italiani furono selezionati a secondo dell'abilità al lavoro e in un numero definito in base alle esigenze del campo. Alessandro Colombo, l'esemplare cittadino italiano dai tanti e riconosciuti meriti, fu scartato e finì direttamente al gas.
Giorgio Levi - Nato il 28 settembre 1898 a Modena. Anche lui, come Alessandro Colombo, risiedeva a Monza nel 1938 con la moglie e i due figli. Venne arrestato il 4 dicembre 1943 a Monza e incarcerato lo stesso giorno a S.Vittore; la firma del capo scorta che lo condusse a Milano è a nome di Cosi. Il 18 dicembre passò al settore germanico. Dopo una lunga permanenza a Fossoli, forse motivata dall'essere sposato con un'ariana, fu deportato con gli ebrei, molti dei quali appunto di matrimonio misto, evacuati da Fossoli per essere caricati a Verona sul treno che raggiunse Auschwitz il 6 agosto 1944. Giorgio Levi passò la selezione ma morì dopo il 18 gennaio 1945 in una marcia di evacuazione da Auschwitz.
Enzo Namias - Nato il 3 agosto 1902 a Monticelli d'Ongina, provincia di Piacenza. Di nazionalità italiana, risiedeva in via Gran Sasso 5 a Milano ed esercitava l'attività d'impiegato. Fu arrestato a Monza il 16 aprile 1944 ed incarcerato subito a S.Vittore. Il 14 maggio venne inviato a Fossoli.
Fu deportato dal campo modenese il 16 maggio 1944 per arrivare ad Auschwitz insieme ad altri 581 ebrei stipati nei vagoni bestiame il giorno 23; è quindi il convoglio che impiegò in assoluto il tempo più lungo per coprire la distanza fra i due campi. Probabilmente superò la selezione, perchè la morte di Enzo Namias la si fa risalire a dopo il 16 ottobre 1944 in luogo non conosciuto.
Dorotea Pisetzky - Nata l'1 gennaio 1892 a Milano. Era coniugata con l'invalido, capitano di fanteria e decorato con medaglia al merito della prima guerra mondiale, architetto Fausto Dario Luzzati. Rimase vedova a soli quaranta giorni dalle nozze. Il figlio Dario nacque otto mesi dopo, il 23 giugno 1919. All'esordio delle leggi razziali il ragazzo abbandonò l'Italia per raggiungere la Francia, dove si laureò in agraria e, il 25 dicembre 1942, si arruolò nella legione straniera, combattendo nel "1º Reggimento di cavalleria della Legione straniera truppe del Marocco, divisione di Fez". La donna risiedeva in piazza Castello 19 a Milano ed era iscritta alla Comunità israelitica milanese; aveva ottenuto la discriminazione nei termini di legge. Dorotea Pisetky, pur essendo una donna di soli 52 anni, aveva da tempo problemi di salute molto seri, tanto che viveva in casa del fratello Ruggero che doveva tenere una donna a servizio per poterla aiutare ed assistere. Quando le sue condizioni peggiorarono, fu ricoverata alla Casa di cura Villa dei Tigli, in via Amati 111 a Monza. Fu in questa sede che il 5 febbraio 1945 venne prelevata dalle SS di stanza nel capoluogo brianzolo e rinchiusa a S.Vittore e da qui trasferita a Bolzano.
Come avvenne per Elda Gutenberg, anche Dorotea Pisetzky fu isolata nelle celle di punizione, dove morì il 28 marzo 1945 per le sevizie che le furono riservate. Al termine della guerra la sua salma fu riesumata e si trova ora al Cimitero Monumentale a Milano nel Campo ebraico.
Aurelia Josz
Ilda Zamorani - Nata il 12 marzo 1880 a Ferrara, moglie di Alessandro Colombo. Questa donna non concepì di continuare una vita senza l'uomo con il quale aveva trascorso l'intera esistenza. Si consegnò quindi spontaneamente a S.Vittore quando seppe che il marito vi era stato rinchiuso, seguendolo quindi inevitabilmente nella deportazione con lo stesso trasporto del 6 dicembre 1943 e quindi anche nella stessa fine nelle camere a gas di Auschwitz, l'11 dicembre, all'arrivo.